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Hanno nomi speciali, Greta, Berni,
Artù, Pippo, Emily, Filippo, Briski, Bombata, Pandora, Parigina. E hanno occhi
sfuggenti che raramente accettano d’incrociare quelli umani e, quando accade, è
un miracolo di pochi istanti. Perché i gatti, domestici o selvatici, sono
animali autonomi e, per quanto magari vivano in angusti appartamenti cittadini,
non perdono né la dignità né l’istinto di gestire in pace i loro spazi. Forse è
per tale motivo che una certa categoria di persone si attacca a questi animali e
li ama in modo sviscerato, forse perché ricordano un’ancestrale libertà. O,
molto più semplicemente, perché è bello attardarsi a contemplare i movimenti dei
felini per la casa, le forme plastiche che i loro corpi assumono durante la
giornata negli spostamenti e negli agguati alle tende da una stanza all’altra o
la molle staticità nei lunghi momenti di riposo.
La
poliedrica artista Luccia Danesin appartiene a una nota famiglia di fotografi
per tradizione, è anche poeta e scrittrice e ha appena dato alle stampe
Gattiritratti un libro messo insieme con
gusto, pieno di affetto per le bestiole e, indirettamente, per gli umani. Vi
sono riprodotte le foto dei mici preferiti, propri e delle amiche, non solo di
razza ma anche bastardi e randagi, istantanee che fermano espressioni e posture,
fisionomie uniche, indagano musi e occhietti tinta giada, blu elettrico, giallo,
colori così inusuali da sembrare immagini elaborate al computer. Ma l’artefice
che con l’obiettivo ha colto al volo le bestiole assicura di no, sono così
davvero, non c’è nessun trucco, nessun ritocco nelle foto. Ogni immagine è
accompagnata da una citazione da grandi autori amanti gli animali, Leonardo da
Vinci e Baudelaire, Colette, Cavalli e Dickinson. Il libro si apre con
un’introduzione entusiasta e sfavillante della giornalista Anna Maria Zanetti e,
come finale a sorpresa, un racconto di Luccia sul fortunoso ritrovamento di un
persiano dato per disperso conclude un libro che finisce troppo presto.
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Recensione |
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