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La passione di una figlia ingrata
Dopo aver pubblicato tanti volumi di saggistica su autori del
Novecento italiano Saveria Chemotti si è data alla narrativa e con il suo
romanzo La passione di una figlia ingrata ha dato forma ad alcuni temi
inerenti al mondo delle donne, che da anni indaga con profonda attenzione sia
come docente all’Università nei corsi di Letteratura di genere, sia come
coordinatrice del Forum per le politiche e gli studi di genere dell’Ateneo
Patavino.
In poche parole, il suo libro parla della relazione con la
madre, anzi, nel caso della protagonista, con due figure materne: una nonna
affettuosa vissuta come mamma e la madre biologica, presente ma assente, intenta
a costruirsi il fantasma della madre che l’aveva abbandonata da piccola per
seguire in Sudamerica il suo amore straniero.
La verità verrà a galla in modo fortuito, grazie alla
cattiveria di una vicina di casa, e la difficoltà di riformare un nuovo assetto
nella confusione dei ruoli e dei legami famigliari segnerà in modo indelebile il
futuro e le scelte della protagonista.
La narrazione procede a ritroso, inizia con un forte impatto
dentro la casa di riposo dove è ricoverata una signora affetta da demenza
senile; la malattia non le permette di distinguere le presenze reali che si
alternano davanti al suo letto dalle figure che animano la sua fantasia e ne
generano gli incubi. L’inferma confonde la figlia che va a trovarla con la madre
desaparecida tanto cercata e vagheggiata. A sua volta la figlia, donna
ormai matura, con un passato di studi puntigliosi e un presente di successo, si
smarrisce di fronte all’incomunicabilità. Non nasconde la fatica nel districarsi
nell’enorme gamma di implicazioni sentimentali ed emotive, nel tentativo di
meglio comprendere le delicate relazioni famigliari e sociali che si sono
sedimentate negli anni, a partire da un’epoca lontana, quando negli Anni
Sessanta una ragazza per smarcarsi e trovare la sua strada nel mondo poteva solo
andarsene di casa, con la scusa degli studi prima e della carriera poi, ma in
ogni caso per farlo doveva scrollarsi di dosso legami fantastici ma troppo
stretti.
Costruito in quattordici stazioni come la Via Crucis,
il romanzo dà da pensare, costringe a riflettere sulle complicazioni di legami
ingarbugliati e, insieme alle protagoniste, induce a cercare soluzioni. Viene da
chiedersi chi sia in realtà la protagonista: l’anziana madre inferma o la figlia
adulta che in viaggi avventurosi nelle varie stagioni va a trovarla in Trentino?
In realtà ci sono vari personaggi comprimari sulla scena, si alternano insieme
ad altre attrici (la nipote, le vicine di casa, la Baronessa che diviene emblema
di gerarchie scomparse) e altri attori, compreso il padre. Egli appare taciturno
e chiuso, distaccato come voleva l’iconografia del tempo, quando si considerava
disdicevole, impensabile che un uomo si mescolasse agli affari delle donne,
infatti il suo interlocutore preferito era il cane, a cui solo rivolgeva parole
e attenzioni. Un bel personaggio, il padre, comunque al centro anche se
controvoglia delle dinamiche famigliari, reso da un’aneddotica efficace da cui
traspare un affetto filiale mai sopito.
Al di là dei personaggi e degli eventi narrati, in questo
libro colpiscono lo stile, asciutto, secco e poco incline alle sdolcinature
descrittive, benché ambientazioni e paesaggi siano presenti, e il montaggio
delle scene – stazioni – arricchite da giudizi nascosti fra le righe o da
prese di posizione doverose in merito a comportamenti incomprensibili.
La linearità
cronologica della narrazione non serve in certi casi. Per parlare della vita
delle persone si può andare avanti e indietro nella storia e pescare dal passato
e dal presente, come simbolicamente fa la protagonista quando legge le lettere
rinvenute in soffitta e così può aggiungere nuove tessere al suo puzzle. Perché
solo così, tessera dopo tessera, può ricomporre la propria storia. Come, del
resto, anche ciascuno di noi può fare. Bisogna però cercare i pezzi e, una volta
trovati, saperli ricomporre. Forse solo così si cessa di soffrire per abbandoni
risalenti all’infanzia, lontananze e amori misconosciuti. Solo così si può
attenuare il languore e attutire il batticuore. Anche un libro serve.
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Recensione |
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