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Parabola d’amore – pensando a Marina C. e Rainer Maria R. nell’anno del fato
1926
Una parabola d’amore tutta giocata sul desiderio che
scaturisce dalle parole che intercorrono tra due persone e da ciò che il loro
pronunciamento può comportare. Un dialogo immaginario, quasi teatrale, che
ricalca alcuni temi emersi dalla lettura del carteggio che nel secolo scorso fu
scambiato tra due grandi personaggi della letteratura, Marina Cvetaeva e Rainer
Maria Rilke. Nel suo libro Parabola d’amore – pensando a Marina C. e Rainer
Maria R. nell’anno del fato 1926 la
giovane pittrice e poetessa padovana Nina Nasilli ripercorre alcuni passi e li
rende propri, in nome di un’attrazione polimorfa che spinge verso altre anime.
Possono essere uomini o donne, non importa il genere, purché su di loro e con
loro si parli d’amore e di ciò che all’amore fa capo, vale a dire la
comunicazione che può generare comprensione o malintesi, sguardi e attenzioni,
aspettative o delusioni, con la coscienza di quanto sia meglio l’attesa
dell’incontro più che l’immediato soddisfacimento del desiderio. Si discute sul
fatto se la fisicità sia il mezzo necessario per toccare l’anima di un’altra
creatura. Nella lettera introduttiva si legge “…non è affatto necessario
praticare un corpo: “basta” praticare il terreno insidioso, accidentato,
affascinante, stupefacente, libero, immaginifico del desiderio… credo che i
momenti più interessanti della vita siano proprio quelli in cui si desidera
qualcosa.”
Passione senza piacere, dunque, senza mai varcare con le
mani i confini della pelle sudata. In un verseggiare che a volte evoca il
mantra, attraverso la ripetizione di forme che tornano col ritmo della litania,
l’autrice crea atmosfere tra veglia e sogno, tra corpi desideranti sospesi
nell’aria, dato che i due corrispondenti non si conoscono di persona, non si
sono mai incontrati, né visti né sfiorati, ma hanno riempito i vuoti conoscitivi
elaborando alcuni dettagli per induzioni fantastiche prive di corporeità. Il
corpo è vissuto come un confine, un limite invalicabile, solo il pensiero, la
mente e l’anima sono liberi di superarlo per vagare nelle vaste dimensioni del
desiderio, in un mondo colmo di misteri e sospiri dove si perdono e si ritrovano
gli innamorati dell’amore e delle parole che lo celebrano. Gli amanti
appassionati si scambiano giuramenti, pretendono promesse e si rivolgono parole
che, come le foglie degli alberi in autunno, cadono lontano dal corpo che
vorrebbe essere amato. In un palleggio di rimandi dal tu all’io l’inno all’amor
platonico è come un gioco di specchi tra lettore e autore, dove chi legge | guarda
viene visto | letto. Operazione cerebrale, questa, che pretende che l’anima si
spogli del corpo e attui un volontario distacco fino all’astinenza, mentre al
corteggiamento e alla seduzione concede di serpeggiare solo nelle parole
pronunciate e scritte. Potrebbe essere una storia attuale, l’amore a distanza
reso possibile da un click, quando il computer sembra avvicinare le persone e
invece tiene lontano epidermidi e sensazioni reali. Assenza, nostalgia,
rimpianto, incanto, sentimenti contradditori fino alla fine, perché l’amore è
più forte della morte: “…non moriremo mai del tutto | noi che tanto abbiamo amato”.
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Recensione |
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