Qualche nota sulla poesia di Alberto Rizzi
Di Alberto Rizzi conoscevo la raccolta di poesie Opera prima, sono
andata a rispolverarla (Quel che mano non prende canton di casa rende) e ho
provato una certa nostalgia per l’epoca d’oro della gloriosa Libreria Calusca
Fahreneit di Padova che l’aveva pubblicata anni fa, priva di data, per cui non
riesco a situarla nel tempo.
È stata una bella riscoperta, ho ritrovato il testo “Primo sole quasi di
primavera” adatto alle giornate miracolose di questi giorni.
Ora, nella recente raccolta di Alberto Rizzi Moto in luogo si segue un
ideale percorso nelle stanze della casa, percorso comune a tutti, quando ogni
giorno si entra e si esce dal mondo. Stanza dopo stanza, tra descrizioni di
oggetti, considerazioni e simbologie, si giunge nei luoghi dove la “Ciabattante
madre” va e viene, avanti e indietro, si respira l’aria di casa insieme
all’affetto che nella vita normale unisce nel quotidiano i due inquilini – madre
e figlio – senza enfasi.
Mi piace l’idea dell’andirivieni tra stanze e giorni della vita, come
pure, in certi punti, lo stile finto arcaico che fa il verso a Leopardi e lo
attualizza, a volte però trovo esagerato l’uso degli apostrofi, fra tre parole
trovo che siano un po’ troppi, creano un’unica parola lunghissima che rallenta
la lettura anziché sveltirla e ciò innervosisce il lettore. Mi sembra di capire
che questa scelta riguardi la cifra stilistica, la ricerca di un linguaggio a
tutti i costi originale. L’autore motiva così la sua scelta:
Sì, è vero: questi agglutinamenti di
parole costringono a rallentare un po’ il ritmo di lettura; ma è quello che
voglio: cioè vorrei che queste parole attirassero particolarmente l’attenzione
del lettore per il suono, per il “peso” all’interno della singola poesia… Uso il
condizionale perché non so se la cosa funzioni sempre.
Un altro motivo per cui metto
l’apostrofo anche dove non va, è legato – come l’impaginazione dei versi – alla
logica teatrale, cioè al fatto che molto spesso due o più parole vengono legate
assieme al momento dell’emissione vocale: così “un albero” diviene “unalbero”.
Allora tanto vale sottolinearlo, cioè, l’uso o il non uso dell’apostrofo
dovrebbe determinare nella testa del lettore un legame o uno stacco fra le due
parole, con conseguente cambio nella musicalità e nella velocità del verso.
Anche qui mi auguro che il meccanismo
funzioni.
Quanto alla poesia sulla ciabattante madre, vale la pena di riportarla
per intero:
Avanti e indietro - Poemetto per la ciabattante
madre
E quindi
t’alzi e vai
per quelle istesse stanze
ove il
ciabattante passo
già trascinò la tua canuta madre
La mente tua
disponi
a quelle
stesse istanze
vers’ove si
declina
ogni
qualsivoglia vita
cercando
d’evitare
in questa mane
il riscontro vago degli specchi
che allo scontro con altr’òcchi porta
cercando di
variar
da questa mane
quantomén la
dieta che terrai
se non pur’anco i tuoi pensieri
Orecchio porgi
ai romor da fuori
mentre il giorno già luce
la voce sua
già resa pocochiàra
per colpa di
quanti subumani
a lungo bramarono ciò che “progresso” chiaman
l’occhio tuo
volgi
sovra i già
appretti oggetti
che a volte contraggìsconti
per malumor crearti
in quanto che
ogni cosa
stupida ovver stolta solitamente gli è
E’ l’oggi
giorno di sole
perlomeno
che induce
allo stirar dell’ossa
all’affrettarsi al torpido lavoro
e per gioir
del suo calore un poco
all’affrettarsi nel riporre
dunque
quanto al momento usasti
verso lo
scattar di quella porta
che ti
percuote il volto
con l’onda
bella
a volte
della strada
----------
E quindi esci
e vai
respirante alta la mente
lasciando in quelle istesse stanze
(ove il passo spesso trascinò
la tua canuta ciabattante madre)
tua traccia com’ogni usato giorno
E questa luce
sua
ed il sonar
rauco delle strade
t’accarezzano
dolci
fino a cullarti il passo
e a ben disporti il soma
Tu quasilièto
annusi
l’apparire
d’ogni cosa e le persone
prima o dopo dell’incontro
gli occhi
altrui incrociando
tutto tramuti
in suoni, aria e danza di colori
Dolce sarà poi
tornare ai ritmi antichi
all’usato cucchiaio
al calice di vino
(entro le stanze nelle quali
l’istessa madre tua ciabattando andava)
fors’anche al bue sentendoti fratello
che
sonnacchioso rumina
in qualche
antro che sappia di rovina
pensieri come
fossero di biada
----------
Dopo un riposo
breve
e l’udir ‘na
poca ‘e musica
prono sottofondo
dolce
al disbrigar
di sempr’uguàli affari
tu quindi t’alzi e vai
fuor da quelle stanze
(è questo il senso dell’andare e del venire)
dove la canuta
madre
già ciabattando stava
T’offri al
mondo
fissando gli
occhi in su la gente
coraggioso
e quindi un
quieto senso
di pace e
d’indolenza provi allo scorrer dei viali
al rimestar di sguardi di persone
ed ai colori
che d’attorno stanno
financo degni
(malgrado la città incipiente da casermoni vasti; e gli
assessori incólt’incompetènti, dal popolbùe a sorte
quas’estràtti…)
financo degni
si diceva
d’esser d’ausilio
a chi si sforza di sentirsi Uomo
Qui
già lo sai
puoi dispiegar tua mente
a soppesar gli incontri che farai
le sorti ed i destini
di questo oppur di quello
nel presente che
ben sai destinato
a dar di forma al sogno che verrà
----------
Ma non è ciò che importa
in questo spazio bianco
dove ti seguo rapprendendo idee
io ben lo so che in punta di respiro
più lieto torni alle tue stanze
ed il fantasma dell’un tempo
già ciabattante madre
(ch’ella già d’anni più non è
e in fondo poco
ma non per
cattiveria al cuore
ella ti manca)
ancora un po’ si stinge
nella memoria dell’udito
ancora un po’…
Così tu vivi
ad onta degli
schermi
dal vulgo sempre accesi
con sensazioni tenui ai tuoi sensi
ma forti nel linguaggio
del luogo e della mente
ad onta dei lampioni
che guidano la sera
al suo diuturno andare
in lascito di pace
In queste istesse stanze
utensili proponi or solo tuoi
a viver per te stesso
o a regalarti agli altri
respirando più ampio
e ripensando al giorno
e meglio offrendo mente
a ritmo ed a misura
“Vuoi sapere quel che mangio per cena?”
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