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S’intuisce a poco a poco la presenza di un disegno, un progetto, una mappa stilata dopo la perlustrazione del territorio. Fra le pagine del libro Una sprovveduta quotidianità che raccoglie i testi poetici di Raffaella Bettiol  si scoprono il desiderio e la volontà da parte dell’autrice di rappresentare mediante i versi il proprio mondo. Un mondo ampio che geograficamente comprende i luoghi d’origine della famiglia (Urbino, il Polesine) e quelli dell’infanzia (Venezia, Padova) a cui si aggiungono i luoghi visitati nei viaggi in Italia e all’estero. Ma il mondo visitato è soprattutto quello interiore, costellato da un’infinità di sentimenti e relative considerazioni: sui vincoli, non sempre lievi, che s’instaurano tra i componenti di una famiglia abbastanza numerosa, e sull’amore, non sempre facile o felice, tra i coniugi. L’amicizia verso le persone care viene espressa con poesie dedicate a delle iniziali puntate, quasi a voler dichiarare la discrezione di un legame che non va gridato ai quattro venti, ma coltivato come un fiore, stagione dopo stagione.

La discrezione sembra essere la cifra scelta da Raffaella Bettiol per aprire le porte dei suoi mondi agli occhi altrui. Il lettore può così condividere con l’autrice la varietà di pensieri, ragionamenti, valutazioni che in un lampo affiorano alla mente di fronte a qualsiasi evento, che si tratti dell’incontro con persone o di ricordi imprevisti.

Già dal titolo della recente raccolta Una sprovveduta quotidianità il lettore è messo sull’avviso. Ci troviamo immersi (e viene più volte ribadito) nella vita comune a tutti noi mortali, fatta di quotidianità variamente definita: oltre che “sprovveduta” anche “inesorabile” (“E l’amore disse: | lasciatemi sopravvivere | ad un’inesorabile | quotidianità.”) o ancora “ordinaria” (“E come reduci noi | a lottare in campo aperto | per un amore | eternamente vilipeso e franto | nel segno di un’ordinaria | sprovveduta quotidianità.”)

Non devo dimostrare né esibire nulla che non sia risaputo, sembra affermare Raffaella Bettiol nei suoi versi, mi limito a dire la verità come la vedo e la sento, a dire le cose come sono, a nominarle in forma piana, cercando le parole come solo la poesia consente di fare.

Ecco, abbiamo davanti una poesia dai toni pacati che con ritmo studiato mostra il logorio quotidiano del rapporto di coppia con il passare del tempo, ravvivato talvolta da sprazzi imprevisti di vitalità foriera di nuovi accadimenti (“Il caos, amore mio, | ha le sue ragioni segrete, | l’amore invecchia, credimi, | più in un calcolo prevedibile | di gesti, che di anni.”).

Con l’avvicendarsi delle stagioni si entra nell’intimità della casa, fin dentro la camera da letto, ma il brusio del traffico e lo smog fanno sognare la quiete e la natura dei Colli Euganei (“Ferma la macchina, ti ripeto, | la nostra vita è così lontana da questo, | disperatamente acquattata | in una vita di città | dispersa tra fuochi di motori, | gabbie di cemento, corse inutili. | Non ci opponiamo alla natura, | al suo richiamo, | al nostro amore fin troppo cittadino | offuscato di smog e polveri sottili.”

Dalla casa e dalla città che fungono da fondale per la commedia della vita quotidiana è necessario staccarsi. Ciò permette di prendere le distanze e ridimensionare i soliti meccanismi e le dinamiche relazionali, allora i giri a Sottomarina e Venezia o i viaggi oltre oceano offrono l’occasione di allargare lo sguardo e vedere con altri occhi la propria vita, ma anche di portare a casa una nuova poesia insieme ai souvenir.

Venezia soprattutto offre spunti per nuove composizioni. Aggirandosi tra calli e campielli durante il Carnevale ci s’imbatte in maschere che sembrano attori usciti da teatro in abiti di scena. Nella sezione “La Commedia dell’Arte” l’autrice si pone come un burattinaio che muove i fili dei vari personaggi per inseguire momenti di risa spensierate tra frizzi e lazzi. Arlecchino, Colombina, Pantalone, Pulcinella, Casanova popolano le fondamenta veneziane mentre la nebbia sopra la laguna è solcata dai voli di gabbiani e folaghe.

E come “silenziosi i giorni | scivolano negli anni” così nella poesia che preannuncia la fine dell’anno e avvia alla conclusione del libro, la fantasia dell’autrice che festeggia il capodanno in Portogallo ripropone a suo modo la stessa visione che il premio Nobel Josè Saramago elaborò nel romanzo “La zattera di pietra”, immaginando la penisola iberica alla deriva nell’oceano Atlantico. L’immagine della deriva si presta a rappresentare l’inesorabilità dei giorni e della vita di ciascuno di noi, ma la “sprovveduta quotidianità” suona anche come un’esortazione implicita a riempirli con ciò che ci è congeniale, i pochi giorni che ci sono concessi. Nel caso di Raffaella con l’amicizia, l’amore. E la poesia.
Recensione
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