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Pionieri a San Domenico
Ci sono età della vita che si ricordano più volentieri di altre. Che si
ricordano, anzi, e tanto può in fondo bastare. Età di colori e suoni e vaghezze
distanti dal peso del presente e trasfigurate dalla memoria che le depura dalle
scorie dell’abitudine, del già visto, ma, soprattutto, del rimpianto. Una di
queste età è indubbiamente quella nella quale i sogni della giovinezza si
realizzano, componendosi in linee sempre più vive il disegno dell’esistenza
destinato poi a sorreggere i crolli inevitabili dell’avvenire. Una dimensione
aurea la quale, malgrado le fratture del tempo, costituirà la bussola che
orienterà i futuri comportamenti di chi quell’età ha vissuto nella giusta ed
equilibrata pienezza.
Quest’età
aurea narra, con la sua cifra poetica sempre fresca e vitale, Maria Luisa
Daniele Toffanin in “Pionieri a S. Domenico”, un diario “minimo” in forma di poemetto che celebra il compleanno di una
casa - la casa della Nostra, in S. Domenico di Selvazzano – dove ella ha
costruito la famiglia e tuttora abita, immersa nell’incanto di una natura
prodiga di bellezze e circondata dal dolce abbraccio dei colli Euganei.
Quarantacinque anni di permanenza in un luogo ormai diventato simbolo di
“lacrime litigi risate / nel gioco eterno che unisce e divide”
ma anche di “minute cose vissute fino all’anima / in una fantastica
dimensione della vita”.
Ne nasce la descrizione - d’intensa liricità - degli aspetti bucolici di
ambienti rubati alla frenesia della vita post-moderna, collazionati in versi nei
quali ricorrono, al modo consueto della Nostra, immagini di una natura
pullulante di libellule, cicale, gatti, topi, che giocosamente fanno corona sia
ai trastulli dei bambini che alla rapita osservazione degli adulti. Un diario di
momenti che certo non torneranno, ma che si sono talmente scolpiti
nell’immaginazione da costituire autentici archetipi dell’anima potendo pertanto
ripresentarsi, sotto sembianze diverse, in qualsiasi altro momento della vita.
Ma soprattutto è, questa età della Toffanin,
“ignara ancora della paura, età innocente” una sorta di paradiso rousseuiano
impenetrabile alle insidie di consapevolezze che verranno dopo, quando
“bradisismi terremoti fisici psicologici” metteranno a repentaglio l’allegra
spensieratezza di un’epoca. Una specie di baluardo diverrà allora, quell’età
felice, per i semi che avrà accumulato e che fungeranno da riserva per
fronteggiare l’urto delle nuove contingenze.
L’epoca insomma del
“rosario di lacrime / del compianto nella casa del Signore / per giovani padri,
madri / anzitempo rapiti alla loro quotidiana storia / e là elevati all’Eterno”
l’epoca della devastante alluvione che seminò lutti nella ridente valle di
Selvazzano, avrà infine, quale contrappeso necessario e provvidenziale, la
presenza del “Sacro che perdurava / archetipo-radice del nostro vivere
/ ai
primordi del mitico quartiere / spazio d’umana formazione”. A significare che
l’educazione spirituale della famiglia, guidata dall’opera della parrocchia di
S. Domenico Guzman, ha saputo arginare l’effetto destabilizzante degli eventi,
riconducendo al “ritmo del Creato” l’andirivieni delle vicende che tocca
vivere all’uomo e così godere in pienezza il “dono-rinnovo di vita
/ nuova
minuta risurrezione, / per sconfinare il nostro tempo dell’attesa / in distese di
turgide vigne / promessa-meraviglia di grappoli d’oro”.
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Recensione |
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