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A morte il Sigaraio !in: Gente del Sud, 2011 In un anno imprecisato del primo secolo dopo Cristo, in un giorno qualsiasi di una inoltrata tiepida primavera, dei piccoli brutti ceffi si aggirano per i vigneti della Campania. Vestiti chi d’una livrea verde, chi azzurra dorata, sfoggiano dei mantelli, a mo’ d’elitre, larghi e striati; avanzano sicuri spingendo avanti ognuno di loro un corto ma robusto rostro. Loro obiettivo: i vigneti dello scrittore Lucio Giunio Moderato detto Il Columella. Costui, oriundo di Cades, l’odierna Càdice, sembra aspettare gli sgraditi visitatori. Sa che appartengono alla pericolosa cosca dei Byctiscus Betulæ, e la loro famiglia, quella dei Curculionidi, detta dei Sigarai, si sa che, dovunque vada, porta guai; i vigneti del Columella, le sue pregiate viti falerne, corrono un serio pericolo. Aspetta con ansia i suoi servi spediti frettolosamente sulla Marsica, un orso certamente lo troveranno e glielo porteranno, si spera vivo. Perché il Columella ha bisogno di un orso? Semplice: egli, esperto di cose della terra, ha scritto un trattato in versi dall’emblematico titolo De re rustica, quello che oggi definiamo un trattato di agraria. Nel suo libro si legge che per sconfiggere i Sigarai è necessario sangue d’orso. Ma chi sono in effetti i Sigarai? Semplicemente dei Coleotteri, del gruppo dei punteruoli (da qui il rostro cui si accennava prima), lunghi poco meno di un centimetro, le cui femmine depongono le uova sulle foglie di diverse piante, tra le quali la vite, provocandone l’avvolgimento a mo’ di sigaro, e arrecando quindi serî danni alle colture. Il Columella sembra abbia scoperto, e scritto nel suo trattato di agraria, che il Sigaraio può essere sconfitto bagnando con il sangue di un orso gli arnesi utilizzati per la potatura. Tra le altre cose scritte dal Columella viene sconsigliata la presenza delle donne negli orti dove si coltivano zucche e cocomeri, tenuto conto che lo sguardo femminile, Dio ce ne liberi, fascinoso per gli uomini, è ritenuto pericoloso anche per tali ortaggi. Il prof. Santi Longo, Ordinario di Entomologia applicata agli agro-sistemi presso l’Università di Catania, ritiene in una sua originale ricerca (L’evoluzione delle strategie di controllo degli organismi animali nocivi) che la pratica di combattere i danni provocati in agricoltura dai molteplici e vari organismi animali è antica almeno quanto lo è la conoscenza, da parte dell’uomo, dei sistemi di sfruttamento intensivo dei frutti della natura, in particolare di quelli vegetali; una “competizione” tra l’uomo e i suoi avversari (gli organismi animali nocivi all’agricoltura) può essere fatta risalire almeno a 10.000 anni addietro, alla fine del Mesolitico, da quando l’uomo, abbandonando quale attività privilegiata, meglio dire: di sussistenza, la caccia e la raccolta di frutti spontanei della terra, scoprì l’addomesticamento di alcune specie animali e vegetali; tra queste ultime, alcune varietà di graminacee del genere triticum appartenenti al gruppo dei cereali. Sarebbe lungo, a seguire nei particolari l’interessante lavoro del prof. Longo, soffermarsi, anche en passant, sulla evoluzione della ricerca dei sistemi e dei prodotti utili a sconfiggere i parassiti delle piante, insetti o muffe, quelli visibili e quelli poco o niente affatto visibili. È certo comunque, conferma il nostro Autore, che la ricerca nacque “quasi contemporaneamente”, sia in Medio Oriente che in Cina e in America, il che dimostra l’importanza che l’uomo ha riconosciuto da sempre alla terra per la conservazione dei suoi microecosistemi, almeno quelli che infine assicurano la sopravvivenza, appunto, del genere homo.; non si trascuri poi che i dati sono stati confermati dalla ricerca archeologica. Ogni popolo, forse ogni comunità, stabiliva, ognuno a proprio modo, punti fermi nella lotta a quelli che verranno poi definiti parassiti, in quanto furono notati principalmente, ci ricorda il nostro Autore, in connessione (parà) dei cereali (sitòs), che in conseguenza subivano danni irreparabili. Ma nemici dell’agricoltura erano anche le mosche, le cavallette, le formiche ed una miriade di altri insetti, tra cui le pulci, la lotta ai quali, in assenza, allora, di prodotti antiparassitari così come la chimica moderna, per gli studi nell’area della fitopatologia, ce li propone, era devoluta anche a determinate pratiche magiche e a specifiche divinità: il dio Mardok presso gli Assiro - babilonesi, che veniva rappresentato in forma di mosca o di cavalletta, veri flagelli dell’epoca a seguire anche il Vecchio Testamento, Horus presso gli Egiziani, delegato a salvare il popolo nilotico dai leoni del deserto, dai coccodrilli e dai vermi; e poi, in area Greca, dalle colonie d’oriente alla Magna Grecia alle colonie Siceliote, il dio Apollo Sminteo distruttore di topi, e ancora il dio Parnopio nemico dichiarato delle cavallette, e quindi Myagros, in Campania, il quale proteggeva le persone dalle mosche purché, esigente com’era, in suo onore fossero celebrati adeguati sacrifici. Non desti meraviglia il fatto che venissero coinvolti anche gli dei; quando la scienza non sa ancora dare una risposta ad un problema reale, si bussa alla porta e della magia e della religione. Tra i molti riti praticati dalle religioni (riti della nascita, della iniziazione puberale, nuziali, di propiziazione, di espiazione, lustratori) troviamo anche i riti agrari e di esorcizzazione. Non sfuggiva a riti ed usi particolari anche la civilissima Roma antica; da Plinio il Vecchio, ci informa il prof. Longo, a Virgilio, a Palladio, ognuno a proprio modo e col proprio grado di conoscenza, aveva da dire la sua sulla lotta agli insetti nocivi; molte erano le proposte, e tra queste non mancavano quelle che suggerivano di ricorrere a pratiche ai limiti della magia se non addirittura dalla magia dettate. Il poeta Lucio Giunio Moderato, detto Il Columella, come si è visto più sopra, docet. Non è necessario scartabellare tra le carte che l’età classica ci ha lasciato per capire l’importanza che in ogni tempo l’uomo ha attribuito alla lotta antiparassitaria, e non è neanche necessario vagare per le vaste distese di quello che fu nel lontano passato l’ager publicus popŭli romani, a noi pervenuto in eredità per scoprirvi, attive ancora oggi, pratiche che a noi, che la campagna guardiamo dall’alto dei palazzi o dagli aerei, fanno sorridere. Un veloce excursus tra usi e costumi di un popolo che con noi ha convissuto (tra i cui figli si noverano i signori Ibn Sina Abu al Ali Hosein bel Ali al Sceich al Reis, meglio noto in occidente col nome di Avicenna, oppure il signor Abu Abd Allah Muhammad ibn Muhammad ibn Abd Allah ibn Idris, ospite gradito alla corte di Ruggero II e a noi noto come Edrisi: entrambi di vasto intelletto), ci fa conoscere, per esempio, come anche gli Arabi non abbiano disdegnato le c. d. pozioni magiche nella lotta antiparassitaria, le quali prevedevano tra l’altro intrugli che dovevano contenere terra di cimitero e peli di cammello per risultare efficaci. Insomma, i rimedi palliativi contro gli insetti parassiti sono sempre esistiti, accettati in tempi, luoghi e modi diversi, ma ritenuti, in assenza di altri rimedi, comunque validi, compreso quello di recitare formule di scongiuro, dice il prof. Longo, con le quali per esempio, si garantiva alle pulci l’immunità a condizione che, “spontaneamente”, accettassero di trasferirsi in altri luoghi, nella casa del cattivo vicino per esempio. Altrimenti veniva formalizzato un atto di sfratto coercitivo. Ma, ci si chiede oggi che disponiamo di potenti e pericolosi antiparassitari, anticrittogamici, antimuffe ecc.: chi erano allora gli ufficiali esecutori? Bisogna aspettare il consolidamento nel tempo e nel mondo della influenza della chiesa cattolica perché la lotta non solo agli iconoclasti, agli scismatici ed agli eretici, ma anche ai parassiti assumesse la funzione di actio primaria e si vestisse della veste della sacralità, ma anche della toga della legalità. Infine, anche i parassiti erano figli di Dio, ma, come tutti i figli di Dio presenti sulla grande palla chiamata Terra, era giusto che si assoggettassero alle leggi di santa madre chiesa. Qui si dispone della documentazione attinta nei vari archivi episcopali, carta canta madama la marchesa, ci si creda o non ci si creda. Se oggi le scomuniche contro i figlioli prodighi fanno sorridere, se oggi le uniche attività di “contrasto” attuate dalla chiesa cattolica contro i danni provocati da insetti e parassiti si sono ridotte, debitamente autorizzate dai superiori gerarchici, debitamente canonizzate, a preghiere e ad abluzioni di acqua benedetta per almeno soddisfare l’incontentabile piazza dei contadini quelli ancora all’antica, ancora alla fine del XVII secolo, ci informa il prof. Longo, processi di scomunica contro gli insetti erano usuali e tollerati, se non addirittura canonizzati. La chiesa cattolica, come ha conservato gli atti dei processi contro le eresie (dai quali è possibile oggi sapere quante persone salirono sul rogo per le condanne del domenicano Torquemada, lugubremente celebre per avere arso vive 10.226 persone, bruciate in effige 6.860 e 97.321 spogliate dei beni che, si suppone, correttamente ed equamente divideva col monarca di turno), così ha conservato, nei suoi archivi episcopali, gli atti dei processi intentati contro gli insetti. In assenza di validi strumenti per arginare le ricorrenti infestazioni di insetti, alle quali seguivano ineluttabilmente anni di carestia, era logico che il problema venisse trasferito alla competenza della chiesa, intermediaria tra il Creato e il Creatore. Abbiamo detto più sopra che, dove la scienza latita, prima la magia e poi la religione sono di casa. Dal Medio Evo e fino al Rinascimento, per ben dieci secoli a ben pensarci (il che la dice lunga sulla accelerazione o decelerazione che può subire il progresso, non solo scientifico, ma anche intellettuale, dell’uomo), numerosi furono i processi intentati dalla chiesa cattolica contro gli insetti nocivi. “Ritenuti inviati di Satana sulla Terra, li si poteva combattere, come d’uso, con pubbliche preghiere, penitenze, processioni, aspersioni d’acqua benedetta e, se queste azioni, com’era possibile prevedere, erano destinate al fallimento, si passava alla scomunica”. Talvolta non si rendeva necessario arrivare alla scomunica: ne fa fede il sermone che san Teodosio indirizzò nel VI secolo alle cavallette convincendole a non opporsi al volere divino. “Le prime misure di lotta di natura giuridico - religiosa furono adottate intorno all’anno 600 da s. Isidoro di Siviglia; s. Isidoro fu ritenuto il più dotto prelato del suo tempo (scrisse un trattato sull’aritmetica), il che non gli impedì, da buon cristiano, di intervenire con argomentazioni giuridico - religiose nella plurimillenaria lotta contro i nemici delle piante, palesemente inviati, se non addirittura figli, di Satana. Celebre poi la scomunica, o anàtema, che il vescovo di Laon lanciò contro i topi campagnoli ed i bruchi nel XII secolo; ma più celebri sono i veri e propri processi intentati in tutta Europa contro i maggiolini. Il maggiolino (Melolontha Melolontha Linnaeus), nutrendosi di erba verde, è ritenuto dannoso se non più, almeno come le cavallette. Si svolse nel 1320 ad Avignone uno dei più celebri processi istruito dalla chiesa cattolica appunto contro i maggiolini. Una apposita commissione visitò i campi infestati e accertò i danni; Ne seguì - ci informa il prof. Longo - «un pubblico bando agli insetti che venne esposto ai 4 punti cardinali. Il processo si concluse con l’assegnazione ai maggiolini di un’area verso la quale entro 3 giorni dovevano concentrarsi senza dare disturbo ai contadini». Nel XIV secolo veniva così inventata la c. d. riserva. Qualcosa di simile accadde circa mezzo millennio dopo nel Nuovo Mondo: lì furono i nativi, i Pellerossa, ad essere rinchiusi nelle c.d. riserve, per non arrecare disturbo ai contadini inviati a colonizzare il nuovo mondo. Per comprendere a fondo (sebbene si navigasse già verso il Rinascimento) l’importanza che la chiesa dava alla lotta antiparassitaria, ci piace riportare per intero quanto il nostro Autore ha recepito in materia per una sua capillare ricerca. “Durante l'esercizio vescovile di Giorgio di Salluzzo (1440-1461) furono celebrati i 3 processi di Losanna contro le larve dei dannosi maggiolini, che vennero invitate, con pubblico bando, a comparire in giudizio avvalendosi di un difensore d'ufficio. Considerato che esse non si presentarono spontaneamente, le autorità fecero catturare degli ostaggi e invitarono tutti gli altri maggiolini ad abbandonare il territorio entro 3 giorni, pena l’adozione di gravi provvedimenti. Tuttavia, «poiché gli accusati, comportandosi da esseri senza rispetto per la religione e le istituzioni civili, ebbero la sfacciataggine di non prendere in considerazione alcuna l'ordine ricevuto, si procedette in pubblica piazza all'esecuzione capitale e si decretò, con solennità, la condanna a morte di tutti gli altri». “Dei numerosi processi celebrati in Europa, l'aspetto più razionale è rappresentato spesso dalle arringhe dei difensori d'ufficio (previsti dalla legge): uno di questi avvocati degli insetti (o del diavolo, come si diceva una volta) incaricato nel 1587, quando il vento del Rinascimento spirava su tutta l’Europa, di difendere non ben individuati bruchi verdi distruttori dei vigneti in Savoia, chiese l'assoluzione poiché i suoi assistiti «che non sono passibili di espulsione dalla Chiesa, in quanto non ne fanno parte, hanno avuto da DIO il diritto di divorare i frutti, essendo stati creati prima dell'uomo ed avendo ricevuto l'ordine di crescere e di moltiplicarsi». L'avvocato aggiunge, inoltre, che «i poveri insetti sono solo uno degli strumenti di punizione divina per i peccati commessi dall'uomo»”. Quindi, inviati da Dio e non da Satana. “ Nel 1479, su istanza dei contadini che vedevano compromesso il raccolto a causa dei soliti maggiolini, il Vescovo della città di Costanza interpretando l'invasione di tali insetti come un flagello divino inviato per fare scontare gravi peccati, ordinò che i cittadini si astenessero dalle loro proibite abitudini (adulterio, danze in pubblico, giochi di carte, dadi ecc.); secondo un cronista «la popolazione quella sera andò a letto contenta perché qualcosa di veramente decisivo era ormai stato fatto». Per quanto strano possa sembrare spesso i processi si concludevano positivamente e ciò per la temporaneità delle gravi infestazioni di maggiolini, bruchi e cavallette, per migrazione o cessazione dell'istinto gregario o anche per fattori biotici e abiotici di mortalità. “La mancanza di conoscenze biologiche su tali aspetti indusse Ulisse Aldovrandi nel 1602 a scrivere: «quando ogni mezzo di lotta risulta inutile, è d'uopo ricorrere all'anatema per il quale sono necessari i teologi»”. Il cristiano impegno del vescovo Giorgio di Saluzzo nella lotta contro i maggiolini, non gli impedì di volgere la sua attenzione all’altro grande problema rappresentato dalle streghe; infatti, durante il suo mandato si svolsero nella sua diocesi due celebri cacce alle streghe. È da chiedersi quanto abbia influito il cristiano impegno e l’esempio di Giorgio di Salluzzo, vescovo di Losanna, alcuni secoli dopo, nei fatti di Salem, quando la caccia alle streghe assunse dimensioni da brivido. Ritorniamo ad Ulisse Aldovrandi, il quale era certamente un naturalista, un botanico ed un entomologo; ma era un vero scienziato? Uno scienziato crede nella ricerca. Se uno sciame di cavallette minaccia i raccolti, se un batterio sconosciuto si insinua subdolo nella vita e nelle attività dell’uomo, lo scienziato cerca, deve cercare il modo di contrastare il male, oppure deve alzare le braccia e passare il testimone ad altri cui interessa risolvere il problema in quanto anch’essi scienziati. Non ci si può affidare all’anatema, che è lo stesso che dire magia. Quando la scienza non sa dove sbattere la testa, tace, ma la magia che prende il suo posto non è figlia della scienza né può essere concepita come rimedio. La pratica magica, seppure attuata dalla religione, spinge l’Uomo in una dimensione apocalittica di un sistema indotto da una strana fede in un Dio il quale, gettata la spugna del Padre misericordioso, si presenterebbe quale persecutore non solo del cattivo prodotto Uomo, ma anche della cosa buona Maggiolino. Questo controverso XXI secolo che noi (figli della scienza sperimentale e di essa ciecamente seguaci) stiamo vivendo, ci autorizza a sorridere, a sganasciarci dalle risate se il senso dell’ umorismo ci è congeniale, a leggere, a posteriori, di processi istruiti dall’uomo contro la natura, qui gli insetti. E ci si dimentica che la lotta per la sopravvivenza della specie, di ogni specie, è alla fine il filo conduttore che porta l’uomo a comportamenti che, infine, sono conseguenti a tale lotta. Una lotta che in effetti è una continua illusione. Non è l’uomo che distrugge la Natura, ma è la Natura, che può fare a meno dell’Uomo ma non del Maggiolino, che può distruggere l’Uomo. Cosa ha scritto Faouzi Skali di Fez, maestro d’Oriente? “Niente ti domina quanto l’illusione”. Non possiamo distruggere i Maggiolini, né possiamo eliminare la Processionaria, e anche le Pulci sono creature di Dio, create prima dell’uomo e quindi con più diritti dell’uomo. L’Uomo dominato dalle illusioni viene una eterna illusione; ieri ha intentato processi contro i maggiolini, domani, se le armi fornitegli dalla Scienza non sortiranno effetti, ne istruirà altri contro chi, come i Maggiolini, avrà bisogno di nutrirsi dei frutti della Natura, e affiderà alla Magia il compito di perseguire il Nemico: l’Altro. E intanto, preso da questa furia iconoclastica contro l’Altro, l’Uomo dimenticherà, come fece notare tanti anni fa un Avvocato del diavolo, di essere stato l’ultimo della Creazione, forse il più imperfetto. - Quando l’ <Io> e il <Tu> sono assenti, non so se questa è una moschea, una sinagoga, una chiesa o un tempio – ha scritto Mahmûd Shabestarî. Non è escluso che possa trattarsi della officina del mago Merlino. |
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