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La vita oltre la morte nell'ascesa mistica di Veniero Scarselli
E' un
incontro non comune quello con Veniero Scarselli, sia sul piano umano che
poetico. Non capita tutti i giorni di avere l'opportunità di condividere la
ricerca esistenziale, le inquietudini, le interpretazioni
filosofico-umanistiche, l'impegno profondo nello scavo impietoso e terribile del
Bene e del Male, della Vita e della Morte, della "Grande Conoscenza", fino al
sacello e al segreto d'un vecchio capitano, come nell'ultimo suo
poema tra il visionario e il metafisico dal titolo Ballata del vecchio
capitano (Ibiskos Editrice. Empoli, 2002). Come un cavaliere medievale, un
eroe col senso del Divino, Scarselli ci offre questa "Chanson de Geste" in
venticinque lasse, prevalentemente di endecasillabi, dal respiro ampio e
narrativo come negli antichi poemi francesi e spagnoli, canzoni di gesta,
imprese gloriose del mitico Carlo Magno e dei suoi "comites palatini", o
paladini. Scarselli ci appare come un profeta, un sacerdote, un maestro, un
condottiero, o, in termini marinareschi, un capitano di vascello, che a guisa di
iniziato al mistero della vita e della morte, superando ostacoli e labirinti
lungo la via della Verità, ci fa sapere che l'occhio della Morte stempera ogni
nostro timore e dubbio in amorosa dolcezza, come mostrano l'armonia, la luce,
l'amore, le diafane e fraterne figure che l'Autore incontra nella sua breve
illuminazione di "Vita-oltre-la-Morte". "Ero certo consapevole
| di lasciare
alle mie spalle il vecchio mondo | il cielo, il sole, la terra, | il mare amato,
la mia piccola barca | fedele compagna di intense | ma ordinarie terrene
navigazioni, | per entrare in un mondo senza tempo, | forse un regno di grande
sapienza | ma il cui Re io non sapevo ancora | se regnasse sul Bene o sul Male;
| ma dopo aver varcato quella Soglia..."
Sono
i grandi temi esistenziali che lo interessano, e li condisce con mirabile
fantasia. Come Ulisse che sfida i marosi dell'ignoranza terrena, che cerca di
sconfiggere il male e il dolore, ma soprattutto la non-conoscenza dei problemi
primi ed ultimi dell'escatologia dell'esistere, Scarselli si solleva al di là
della fredda risposta puramente scientifica per innalzarsi come albatro verso i
fini ultimi della poesia e della storia. L'estasi del volo umano verso la
sapienza. Le visioni di Scarselli si susseguono in fotogrammi fantastici come in
un film di fantascienza. "Io stupito e affascinato indugiavo | a meditare
l'indicibile visione". Il passato e il presente si fondono in un futuro
irreale. Si partecipa a una favola fantastica anche se crudele, perché impietosa
per chi, incarcerato nella sua gabbia corporale senza la luce dello spirito e
del genio, senza l'ausilio di una visionarietà metafisica, si ritrova ad essere
cieco "come gli occhi d'un gattino appena nato". Le tenebre, le
ossessioni, le angosce sono generate nella vita terrena dalla non-conoscenza,
dalla mancanza di iniziazione ad un mondo superiore di Luce, d'Amore divino, e
di Sapienza suprema, alla "Grande Famiglia".
Intraprendere questo cammino non è da tutti. E' forse un'impresa epica, una
spedizione memorabile. "Un moderno Ulisse che insegue la grande conoscenza
riceve infine dalle pupille spente d'un vecchio capitano, che ha subìto l'onta
del naufragio, la visione sperata della Vita-oltre-la-Morte" si legge in quarta
di copertina. Il piccolo io del Poeta fanciullo, sgomento all'idea d'infinito,
da grande è avvelenato "dall'iniquo mistero della morte e dall'orribile
silenzio dell'eternità", sì da correre "per i mari | di terra in terra
con la vela solitaria | per sfuggire all'ossessione che inseguiva | le mie notti
e per avere una risposta | dai silenzi dei cieli stellati | e dai vasti
orizzonti marini", fino ad imbattersi dopo profondo travaglio
dell'interiorità nel relitto d'una nave semiaffondata e nel teschio del vecchio
capitano: è giunto finalmente alla soglia del Mistero. Così, immaginiamo il
Poeta a bordo della sua imbarcazione (vedi Dante: "in piccioletta barca") a
lottare da solo contro i marosi e i mille misteri dell'esistere. Coraggioso e
determinato proprio perché atterrito da incubi e paure, intento a ricercare fino
in fondo le leggi della conoscenza e i principi della natura umana librata verso
il Divino, davanti al teschio del capitano, che gli chiede di liberare l'anima
che "non ha potuto staccarsi dal corpo" egli come un figlio devoto gli
legge all'orecchio, dal Libro dei Morti (allusione al sacro e famoso "Libro
Tibetano dei Morti), "le parole | che l'anima ha bisogno d'ascoltare per
andare incontro all'agognata salvezza" (Non dice forse Dante "correte al
monte a spogliarvi lo scoglio | ch'esser non lascia a voi Dio manifesto"?).
"A bassa voce recitai lentamente | e a lungo le parole dei sapienti (...) ma non
seppi trattenermi dal violare (...) il Regno dei Morti per vedere | finalmente
le immagini fedeli | della Vita oltre la Morte". Così, scrutando nella
pupilla del morto, egli riceve la visione estatica della vera Luce, della
profonda dolcezza, e dell'amorosa maternità della Vita-oltre-la-Morte: "Sì,
vidi, vidi, il diaframma | che separa il mondo dei vivi | da quello silente dei
morti, | la bocca luminosa del Tunnel | che esce dal nostro universo | e come un
cordone ombelicale | porta al luogo d'una luce suprema | così piena d'Amore e di
Grazia | ch'io subito potei riconoscerla | come quella dolcissima della Madre".
Ogni laccio e ogni appiglio si sciolgono nella Luce, poiché è la corporeità, che
ci tiene avvinghiati al fango terreno, come il relitto della nave alla sabbia
dei fondali marini, in un inferno, un purgatorio, o per lo meno un limbo di
attesa. Eppure qualcuno dal cuore puro come il vero poeta può tentare la
sovrumana impresa. Lo scritto di Scarselli è tutto un'allegoria, una fantastica
e allucinata visione in cui si scopre che al di là del fatidico Tunnel,
descritto da tanti fortunati (o sfortunati?) ritornati alla vita dopo un coma
profondo, si rinasce tramite il cordone ombelicale che ci riallaccia alla grande
Madre, alla grande Famiglia di sorelle e fratelli amorosi.
Dopo
la "mirabile visione", il Poeta ritorna ancora sulla terra perché, dice,"non
era forse ancora consumato | il mio piccolo tempo mortale". Ha però gli
elementi per poter narrare in una forma epica e universale la "ballata" di tutti
noi mortali miseri e inconsapevoli. L'aria toscana che respira ci ricorda
l'avventura di Dante alle soglie del Paradiso; il Vate era guidato e ispirato
dalla ragione (Virgilio) e dalla grazia divina rivelata (Beatrice). In Scarselli
invece si percepisce maggiormente la ricerca solitaria dell'essere umano. Fra
tanti pseudocantori della società odierna, vanagloriosi venditori di fumo e di
falsa scienza, sperimentatori astuti che non hanno nulla da trasmettere se non
vani sperimentalismi fini a se stessi e atti solo a meravigliare gl'insipienti e
i creduloni, ci sentiamo turbati e commossi per la forza sconvolgente e sincera
di chi ha preferito la poesia e un eremo di Pratovecchio ad una carriera
scientifica. I versi qui sono versi, le parole dotte e ricercate come
nell'avventura di un esteta raffinato, i misteri sommi affrontati con rispetto;
alla fine del viaggio ne usciamo un po' sbigottiti, ma sicuramente arricchiti di
un profondo bagaglio culturale, filosofico e poetico valido per tutti i tempi.
Ancora una volta vince l'intelligenza umana; trasportati in un mondo di grazia e
di dolcezza materna, ci conforta infine l'immagine della nave salvata, simile a
un "candido cigno | guarito dell'antico dolore". "Il mio compito ormai
era finito" conclude il Poeta mentre fa ritorno all'umile "porto terreno
| fra le umili fatiche quotidiane | degli ignari popoli della terra". Forse
tutto questo significa essere poeti.
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Recensione |
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