Servizi
Contatti

Eventi


La lettura e la rilettura di questa nuova, recente prova poetica di Lucia Gaddo Zanovello, con cui la poetessa padovana torna in compagnia dei suoi lettori, confermano in me, rafforsandona, l'idea seguente: nessun esercizio esegetico sul Novecento poetico italiano può aspirare a una qualche forma di "compiutezza" se esso non analizza in modo approfondito e competente, quella che comunemente vien detta "la poesia al femminile".

La conferma proviene da pochi forti indiscutibili nomi di donne in poesia (senza sottovalutarne altri, che ben figurerebbero accanto a questi): Antonia Pozzi, Margherita Guidacci, Amelia Rosselli, Gilda Trisolini, Alba Florio, Rossana Ombres (verso la quale tutta la critica è in fortissimo debito), Maria Luisa Spaziani, Alda Merini, Cristina Campo. Nel diaframma dottrina-ispirazione, tracciato dalle ardenti sensibilità delle autrici nominate, si muovono i nuclei tematici e gli apparati linguistici di Memodìe, un libro aureo nel quale in ogni verso delle quattro sezioni che lo compongono circola un'aria d'adesione cordiale ai pesi e alle leggerezze (rare) della vita: "Nulla è più chiuso di questa tempia | che accorda isole di silenzio..." canta la Gaddo, quieta per i canali di Padova e Vicenza in cui Goffredo Parise trovava l'alimento della sua delicata "poesia degli addii", come a lungo – e sempre commosso – ci ricordava Geno Pampaloni, tracciando il profilo umano e artistico dell'Autore dei Sillabari.

E quest'aura d'assenza e finitudine, una cifra qiasu emblematica, e ineludibile, della intera silloge della Gaddo, trepidante si coglie sull'elevata tensione lirica d'un verso esemplare: "Tutto il respiro si è speso nelle attese..." d'un componimento ("Novembre") attraversato dal fiato inconfondibile della più alta poesia italiana (da Ungaretti a Saba; da Montale a Libero de Libero), senza trascurare l'indiretta ascendenza del poeta del Seme di vivere – che proprio a Padova vide le sue muse volar alte sulle miserie umane –, ingiustamente ricacciato quasi nell'oblio: Diego Valeri.

Non già "parola innamorata", ma amore pieno e persuaso per la "parola" (l'ultimo, vero, insostituibile farmaco o antidoto contro il peggiore dei mali dell'uomo d'ogni luogo e d'ogni stagione: la corruzione della coscienza), senza sforzi ai fuochi quasi fatui della luna ricordandoci con Alfred Kolleritsch, il grande poeta della Stiria, che "...se il sole dissipasse | la tua ombra, | questa s'allungherebbe. | Lasciala al mondo...".

Poesia scritta con la "sapienza del cuore", rimanendo sempre dalla parte dello stile: lo stile, quel punto magico nel quale, per dirla con Italo Calvino, si saldano tensione interiore e comunicazione, contenuto etico e forma.

Memodìa, ovvero "canto di memoria", come ci rivela Giorgio Poli nel suo sobrio e intelligente risvolto di copertina, è una silloge poetica – se diffusa e sostenuta efficacemente – non soltanto a durare in questo nostro tempo di crisi della comunicazione e di comunicazione della crisi, ma anche a influenzare, e non poco, tanto il gusto estetico, quanto la temperatura della poesia (balbettante) contemporanea, se non altro perché, riducendo al minimo "lo iato fra la vita psichica e il linguaggio" (G. Poli), non di rado succede che Lucia Gaddo Zanovello dia la sensazione, in un dirsi e un darsi senza risparmi, che è la grazia stessa a farsi poesia.

Recensione
Literary © 1997-2023 - Issn 1971-9175 - Libraria Padovana Editrice - P.I. IT02493400283 - Privacy - Cookie - Gerenza