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Fin dalla scelta del titolo, che suggerisce l’immagine di un
esperimento di “scrittura automatica”, l’idea base della immediatezza del
componimento poetico emerge con prepotenza.
La giovane Autrice sembrerebbe
escludere se stessa, dichiarandosi estranea al concepimento lirico per
considerarsi una sorta di “medium” che presta la propria mano alla Poesia
proveniente da “altrove”; che poi questo “altrove” risieda nella sensibilità di
Francesca è fuor di dubbio: ne danno prova le quasi cinquanta poesie che
compongono questa sua prima silloge.
Sono versi sciolti, fluidi, nei quali ricorrono frequenti i
riferimenti alla musica, al mondo del cinema, al lavoro del teatro. I versi sono
sempre pervasi da un senso giocoso e gioioso della vita, sia quando giocando,
appunto, con le parole – parole in libertà, oseremmo dire
– diventano
spericolati “funambolismi”, sia quando, più intimisti, non rinunciano comunque
mai al sorriso (sai quant’è potere | far ridere | una persona?)
attingendo alla sempre colma tasca sfondata di pensieri, per tendere con
passione ed entusiasmo alla non sempre facile ispirazione creativa, la sacra
poetica tranquillità, | fatta di sofferenza atroce | e sofferenza felice. Se
talvolta, infine, vi incontriamo una lacrima, non è mai un pianto dovuto alla
disperazione ma a un crogiolarsi improvviso di felicità.
(dalla prefazione di Marcella Malfatti)
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Recensione |
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