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Una trama di respiri sensibile al vibrare delle altre
esistenze
Luccia Danesin è fotografa ma ha coltivato da sempre l’interesse per la parola poetica. Il legame fra
fotografia e poesia ce lo riassume bene lei in alcune frasi tolte dalla nota al
suo primo libro Un fard rosso arancio: «Ho avuto, fin da bambina, un continuo
colloquio con me stessa e, nella. cornice del silenzio, ho sempre cercato la
scrittura, e poi la fotografia, come esigenza emotiva per dare forma a questo
"flusso" che altrimenti andava a confondersi, ad appiattirsi fra i tanti altri
frammenti quotidiani.(...) Ricercare o accogliere la poesia, per me, è
essenziale per un incontro interiore, misterioso: sola e senza meta : per
"sentire". (...) Poesia e fotografia convivono in me, come strumenti diversi ma
complementari, che mi permettono l’illusione di fermare l’ora, di isolare i
momenti, rendendoli unici e irripetibili, di "possederli" per sempre, di
dimenticarne la caducità». Il cerchio dei respiri, la sua ultima raccolta di
poesie, porta un titolo che è molto piaciuto al poeta Elio Pecora che,
presentando le poesie a Roma, ha detto: «È il cerchio nel quale stiamo tutti, e
questi respiri insieme ci reggono, ci circondano, ci assediano ma nello stesso
tempo ci consentono di restare e di allargare anche la nostra esistenza nelle
altre esistenze». Sempre a Roma, Maria Luisa Spaziani, uno dei maggiori poeti italiani del nostro tempo, si è
inoltrata nella poesia di Luccia paragonandola all’aforisma, una saggezza in
poche parole, lampeggiante in sé, e ha parlato di una poesia «fatta tutta di
ossa e di muscoli e con pochissima carne, disincarnata»; e, ancora, ha
sottolineato la straordinarietà di questa poetica densa di tensione, anche di
sensualità (come in "Pomeriggio d’agosto"), e l’uso innovativo di alcuni
aggettivi che danno peso specifico e piani diversi alla «nostra geometria
quotidiana e risaputa» perché, ha detto, «sono piani psichici».
Leggendo queste composizioni, c’è un invito a cogliere nuove sensazioni,
ignote, rese con metafore ardite, essenzialmente proiettate da una realtà che è
sognata, eppure reale, quotidiana. Una poesia, quella de Il cerchio dei respiri,
che rivela acutezza d’intuizione e sa cogliere l’attimo di «respiro vitale e
nello stesso tempo di una realtà esistente», come osserva Carmelo Depetro
citando: «Poggiamo sull’orlo di un grande spazio infinitamente generato
estratto della vita che resiste».
I versi di Danesin sono resi con una scrittura pregnante, corposa, densa
concettualmente. Tutto è essenziale ma, nello stesso tempo, ricco di
suggestioni; procede per condensazioni e rarefazioni lasciando poi una nuova
immagine straniante da cui ripartire, come: «in ellissi madreperla il battito del mare si adegua al
quotidiano cuori anfibi soli nella culla». Molte altre poesie della raccolta,
pur nella loro essenzialità, sono tecnicamente più strutturate, si allargano,
danno voce a una riflessione più intima e accorta che viene dalla ricerca di un
chiarimento con se stessi e, di più, con "l’oltre". «Veglia la morte al bordo
della meta. Nel suo tacere percepisco il canto. Ti chiedo Come possiamo, messi
all’angolo ogni giorno, con questi accadimenti, con mille disinganni, celebrare
ancora tante indicibili dolcezze?». Questa raccolta, che prosegue un discorso
iniziato con la precedente Un fard rosso arancio, offre lo spunto per percorrere
un viaggio di riflessione seguendo un cammino segnato da alcuni temi simili a
pietre miliari che contrassegnano la nostra vita: il tempo, l’amore, la memoria,
la morte, la paura, e l’oltre. «Proprio perché – ha commentato Lorenzo Guella –
è quando si pone di fronte ai temi più drammaticamente e urgentemente
universali, generali, proprio in quel momento Luccia raggiunge la cifra più
originale, la sua sigla, si potrebbe dire che esprime la sua più profonda
"identità"».
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Recensione |
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