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La poetica di Maria Grazia Lenisa si qualifica per la sua intensa originalità rispetto alle molte e varie esperienze della cultura contemporanea. Autrice sempre in grado di suscitare interesse, fin dagli anni cinquanta, militava nel “Realismo Lirico” di A. Capasso ed ha attraversato la seconda metà del novecento seguendo un singolare percorso con estrema coerenza fino all’ultimo. Il suo iter si sviluppa dal realismo, appunto, fino ad un metarealismo, originale e ricco di proposte, che spazia dal mito all’assimilazione ironica dell’erudizione o, viceversa, della cultura-linguaggio di massa. La sua produzione si estende poi oltre i confini del secolo con i testi raccolti nell’antologia Verso Bisanzio fino a volumi più recenti, come l’ultima prova poetica, vincitrice del “Rhegium Julii” 2008 (inedito), dal titolo eloquente di Amorose strategie. Secondo il critico Giorgio Bárberi Squarotti, nella storica prefazione a L’Ilarità di Apollo, prima opera caratterizzata dalla forma del verso fintamente narrativa, la Lenisa: “…viene a modificare il verso narrativo per eccellenza della tradizione italiana, che è l’endecasillabo, ampliandolo in misure più distese e diffuse, ma conservando… gli accenti e il movimento ritmico…”. All’innovazione formale si accompagna il coraggio di scrivere dell’Eros, non per celebrare il desiderio privato quotidiano, piuttosto allo scopo di istituire uno iato con esso. “Poesia, non è vita”, sosteneva l’Autrice, e ancora “la sessualità genera vita, l’Eros genera arte”. Appare Perciò evidente che la poetica di Maria Grazia Lenisa è tutta d’invenzione, ironica e trasgressiva, nel ribaltamento di quel lirismo della giovinezza che pure costituiva un’alta misura del fare poesia. Ma cosa ha prodotto questa inversione di tendenza? La risposta viene dall’analisi della produzione inerente agli anni settanta, quella, ad esempio, di Terra violata e pura e di Erotica. Sono i libri nei quali Lenisa esprimeva un’insofferenza per ruoli, costrizioni artificiose relative alla scrittura ed alla vita reale, massimamente coniugati al femminile della tradizione sessista. A ciò si aggiunga una spiccata capacità critica nei riguardi delle contraddizioni relative al nostro “sistema culturale” (cultura ufficiale-sottobosco, linee, poetiche) e lo sguardo vigile, sensibile, complice, rivolto appassionatamente alle esperienze di scrittura, per Lei, più stimolanti, che le fiorivano intorno. Alludiamo a Bárberi Squarotti, Zinna, Spagnuolo, Mascioni, Allegrini, Bettarini, Zanzotto, Menicanti, Cara, Luzi e, ad ultimo, Calabrò, per citare solo alcuni autori più noti che sono presenti, insieme a critici e altri personaggi, nell’attività critica e in molte poesie quali interlocutori privilegiati. Non mancavano dunque le motivazioni per ampliare i confini dell’universo poetico lenisiano, specialmente affinandosi gli strumenti della saggistica per l’analisi del testo letterario. I ‘ferri del mestiere critico’ si configuravano via via sempre più interessanti e creativi, a cominciare dalle molte prefazioni, svolte come direttrice della Collana “Il Capricorno” per la Bastogi, per proseguire con i numerosi studi, tali da tracciare una sorta di novecento alternativo a quello ufficiale, imbalsamato e carente. Con l’interpretazione comprensiva del testo poetico condotta nel saggio La dinamica del comprendere, Lenisa, coadiuvata dalla figlia Francesca Alunni, fonda un suo proprio metodo di ricerca estetica che dona una sostanza fenomenologica, a livello ermeneutico, al concetto d’ispirazione. Ponendosi in modo innovativo nel settore (riempiva un vuoto teoretico), persegue l’intento di rivalutare, al di fuori dei consueti schemi, (i più conosciuti sono quelli crociani), l’idea d’ispirazione, in un’ottica, per certi versi, olistica e interdisciplinare. L’esperienza della propria malattia neoplasica aggiungeva poi un elemento, l’avventurosa drammaticità, alle impennate dell’invenzione poetica di scenari alternativi. Tra cupe minacce, variazioni e aperture cosmiche oltremondane, persisteva la raffigurazione di un erotismo ambiguo, ricco di estrosità e umano. Non mancando mai la gioiosa fiducia nel destino della Poesia, ipostatizzata, come riscatto ultimo, conteso alla Fede. Si noti che mai quest’ultima è troppo ortodossa e clichè. Dio, il Paradiso-Parnaso, un’inverosimile Alessandria d’Egitto e la preziosa Bisanzio incombono, insieme ad angeli e personaggi del mondo della cultura, per sorprendere e indurre a riflettere sulla vita come aspirazione ad altro (o forse Altro?). La dialettica feconda di poesia e fede si trasforma, infine, nell’abbraccio a Lucy, l’amica morte degli ultimi splendidi versi, azzurri di vita e bellezza, anche e soprattutto, fisica, singolarmente presenti in Amorose strategie. Ne Il Canzoniere unico, opera postuma, da cui sono state alcuni testi che proponiamo, prevale un sentimento di forte transitorietà, ma intensa è la passione per la “vita alternativa” della scrittura. Rimane mirabilmente in piedi il dubbio su quale sia, però, la vera esistenza, escludendo a priori il quotidiano. Ci si può chiedere se quella dei versi immortali sia l’alternativa vincente, o invece vada affermandosi la proiezione nell’Oltre di tutte le speranze, sogni e ribellioni giocose, affidati completamente ad un Dio che non possediamo e dal quale siamo posseduti come sue creature. Alla lettura, si direbbe che la seconda ipotesi sia quella giusta, però, a ben vedere, ed eroticamente, per la Lenisa, anche Dio è Poesia trasgressiva e suprema. In tal modo si risolve il dilemma, la cui natura è pura apparenza, in quanto il dramma personale s’inquadra in quello collettivo della finitudine umana. Attraverso l’universalizzazione ironica di ogni lato tragico, l’atto inventivo, oscuro e gioioso ad un tempo, viene assunto per vivificare e rendere la parola poetica davvero “unica”, come recita il titolo stesso di questo Canzoniere. L’opera, dedicata a Cristo, è al di fuori degli schemi, inerenti al genere (piuttosto adusato), per un “Uomo”, il Redentore, che è visto straordinariamente come Eros e Dio cristiano. Prevale la sensazione di un salvezza affidata alle parole che, molte e belle, sono il viatico dell’amore assoluto e della speranza, non già tradimento, negazione del corpo dunque, ma suo riscatto dalla bruttura delle precarietà esistenziali, a cominciare dalla propria esperienza della Croce. ° ° ° Poesie di Maria Grazia Lenisada Il canzoniere unico
Non si rade la barba, i capelli lunghi si bagnano
Che cosa posso fare?
Venne la notte e mano dentro il folto mise e…altre poesie
Mi fulminano i versi, semi di parole,
Oh fanciulla d’acanto, luna nel blù
M’era davanti ma così lontano per i miei occhi da “Piediluco”
Il lago trepidante, nel segreto sente
Boe affioranti come anfore |
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