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È uscita di recente l’ultima opera letteraria dialettale di Lilia Slomp Ferrari, dal titolo coinvolgente e affascinante di Striarìa, che tradotto alla lettera vuol dire stregoneria, ma leggendo il testo della poetessa si avverte che lei ha voluto dare al termine una interpretazione meno leggendaria, ed allora si parla di incantesimo, di malìa, forse anche di suggestione. Lilia Slomp Ferrari è considerata dalla critica non solo locale, la maggior poetessa dialettale trentina del Novecento, il che vuol dire essere la maggior poetessa dialettale in assoluto. Pur poetessa bilingue – scrive anche in lingua – è nel dialetto che Lilia Slomp ha offerto la maggior caratterizzazione della sua poesia. In dialetto la poetessa ci ha dato quattro raccolte di liriche, iniziando da En zerca de aquiloni, proseguendo poi per Schiramèle, quindi Amor porét ed ora questa Striarìa. Senza nulla togliere alle opere precedenti, soprattutto a Schiramèle e ad Amor porét, questa Strarìa è senza ombra di dubbio la sua opera di maggior respiro, di maggior introspezione e di più radicata maturità. Fin dalle origini Lilia Slomp porta avanti una visione unitaria del suo mondo interiore, prevalentemente ruotante attorno al mondo che la circonda ed ai suoi rapporti con la natura. Lilia Slomp è stata caposcuola, in dialetto, nell’uso della metafora e dell’astrazione per cui, leggendo le sue poesie – non solo Striarìa – si parla con i fiori, con gli alberi, con le stelle, con le comete, con la luna, con gli animali e con tutte le cose che sembrano non avere linguaggio, ma invece parlano. Anche questo ultimo libro, una striarìa, appunto,

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