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Il titolo di questo libro mi fa pensare ad un paradosso: com'é possibile infatti che il ghiaccio abbia un'anima? In realtà l'autore parla, con questa metafora, della realtà in generale vista come qualcosa di essenzialmente spirituale, mutevole e misterioso: I contorni, mutevoli e | con l'anima del ghiaccio, | della candela che si spegne | nella sua stessa fiamma, | sono dentro i corpi che a | turno, in differenti | luoghi, si nascondono nelle | più vaghe oscurità (p. 35). L'interiorità è anche qualcosa di nascosto, di non comunicato e di non comunicabile che ristagna e si indurisce in noi: ... tu lo sai; le lacrime tenute | dentro, lasciate dentro il corpo, | presto diventano ghiaccio e la tua | disperazione resta manto di | neve e poi acqua a coprire... (p. 15). La memoria rende concreta l'interiorità: il nostro io è fatto di ricordi, del sentimento del tempo; se così non fosse esso sarebbe vuoto e si dissolverebbe. Ecco perché è importante ascoltare il proprio passato: Il passato ha un'unica | voce e la sua eco | si ascolta persi accanto | alla propria figura (p. 21). Accanto alla memoria individuale esiste la memoria collettiva, affidata ai poeti, agli artisti, agli storici; essi conservano un passato che ci appartiene, ma che non potremmo ricordare e rivivere senza l'ausilio di questi uomini di cultura. Ecco perché il poeta dice: (...) camminando per le sere i | luoghi senza colore | erano la memoria di chi | non li aveva scorti (p. 19). Nei ricordi perduti della gente comune il poeta riconosce se stesso, come dice in una pagina bellissima che ci mostra l'uomo di fronte allo scorrere del tempo e della memoria: Cosa dire di uomini che | enumerano, senza | ricordare, prima risvegli | e poi immote notti. | Adesso loro sono nembi, | dopo saranno erba, | cortili, tetti, vecchi porti. | Non accadrà mai che per | attraversare una fila | di vestiti smessi e | per scoprire, nelle pieghe di | quei tessuti, tutte le | parole rimaste non dette, | io debba rovistare, | scivolando dentro un petto | che ancora respira. Vi troverei comunque il mio | stesso sguardo di sempre, | quello già passato e quello | futuro, e tutti gli | oggetti che esso mi dona; | quegli oggetti che io, | con rinnovata pena, tocco (p. 36). Il poeta è anche colui che trasmette ai posteri la memoria del presente: ciò che noi oggi viviamo sarà vivo domani se i poeti nostri contemporanei ne parleranno. Questo comporta incertezza e fiducia, perché non sappiamo che fine faranno le nostre creazioni artistiche: Non so che luogo costruiranno | le mie frasi, né sopra | quali tetti, per morire, la | grandine si poserà (p. 14). Esiste sempre una connessione fra le cose ed i ricordi, forse la stessa che si instaura fra il noto e l'ignoto, o fra la vita e la morte (p.13). La realtà osservata con l'occhio della memoria appare come riflessa in uno specchio (p. 17), come pensava San Paolo, e con lui tanti filosofi medievali. Interessante anche l'accostamento fra ricordi e dolore, dato che entrambi sono importanti per l'uomo, tanto che il poeta dice: I ricordi sono l'unico dolore che mi resta... (p.27). E neanche c'é differenza fra il ricordo e il sogno, essendo fatti entrambi di una stessa sostanza (p. 30). In definitiva la stessa fantasia, elemento basilare della creatività e dell'arte, si nutre di ricordi, e l'ispirazione non è altro che il raccogliersi del nostro intero passato in un unico punto piccolissimo e nitidissimo, così come ce ne parla Dante nel "Paradiso". Attraverso la rigida misura data alla quasi totalità dei versi l'autore desidera riprodurre, anche nella lettura, il disagio, la dura pena di vivere ed il profondo senso di solitudine della storia (pag. 3).

Le immagini di Daniele Duca sono interessanti perché nascono da un diverso uso della fotografia: essa viene infatti piegata ad esprimere i valori grafici della linearità e del contrasto che sono piuttosto una caratteristica dell'incisione. Si osservi in particolare l'immagine di pagina 42: lo sfondo è stato ridotto ad una superficie bianca che fa pensare ad un foglio da disegno sul quale gli oggetti divengono purissimi segni grafici, mero pretesto per un'equilibratissima composizione lineare. Nell'immagine di pagina 34 la rete ricorda il monumento funebre del verrocchio a Giovanni e Piero de' Medici (Firenze, chiesa di San Lorenzo), dove una grata di bronzo esprime il passaggio tra la vita e la morte. Nell'immagine di Daniele Duca il nero del fondo fa pensare alla morte, al nulla, all'ignoto; la rete è, simbolicamente ma anche graficamente, la razionalità che per contrasto ci permette di percepire il vuoto, il caos, l'infinito, ma anche impedisce alla lampadina di non cadere in quell'abisso; la lampadina rappresenta allora la vita, ma è una vita spenta, non essendo collegata al filo della corrente; nell'immagine vediamo dunque il confine fra la vita e la morte. Daniele Duca è riuscito ad esprimere con le sue immagini foto-grafiche le stesse antitesi che Danilo Mandolini ha espresse con i suoi versi: tra la vita e la morte, tra la luce e il buio, tra l'anima e il ghiaccio.

Recensione
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