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La libertà, la
paura, la lotta sono i temi di questo poeta i cui versi, pur nel contenuto
intenso, nella forza dell’espressione, mantengono una compostezza formale, come
una fiamma che arde senza inutile fumo o spreco di crepitii, ma di cui si sente
il calore.
Il discorso
poetico di Filippo Giordano si snoda, dunque, nelle vie dell’uomo ed è carico di
suspence. Con gli occhi dell’anima il poeta scruta la sofferenza, assorbe le
atmosfere della sua terra, le immagini di sacrificio, di lotta,
nell’avvicendarsi delle stagioni, giorno dopo giorno, “oltre il sipario” della
vicenda umana, dove “lentamente s’avvia la coscienza”. La coscienza dell’uomo in
rivolta, che fa la storia di ogni giorno, che rompe la diga dei propri
sentimenti e denuncia “il sordo rancore di chi paga per tutti la colpa”. Il poeta si fa
portavoce di certi drammi, di certe ingiustizie, di melanconie vissute all’ombra
della sua terra di Sicilia intrisa di sudore, dall’alba al tramonto, nelle
contrade deserte, in cui il silenzio, nell’aria rovente, conosce solo “un
continuo frinire di cicale”.
“E l’alba |
stenta una promessa | che il giorno si rimangia” dice Giordano in una delle sue
più belle liriche: “mille giorni delusi…| che spesso mi fermo a scrutare…”.
Ogni oggi spezza la speranza di ieri e tutto si ripete nel cuore dell’uomo, che
va verso l’ignoto, “fra un chiarore e l’altro” “nelle barche dei giorni | acque
ad altissime anse | che capovolgono quiete e tragitto”.
L’amarezza
prorompe da questi versi, stretti fra la tristezza e la rabbia, fra l’ansia e
l’attesa; c’è l’uomo in ascolto di un suono di speranza come “un remoto canto di
zufolo” che giunge all’anima inquieta come una nenia misteriosa che riporti nel
soffio “di giorni dipanati” “…quel sapore di ginestre… tra le fessure della
primavera” quando “è già altro domani”.
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Recensione |
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