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Leggendo Parole d'ombraluce di Giorgina Busca Gernetti ho avuto ulteriore conferma dell'impressione solita: altro è leggere qualche brano isolato in rete, e altro leggere un'opera completa su carta.
Quale spazio lascia, se lo lascia, questo approccio a un'eventuale visionarietà, alle vibrazioni e fluttuazioni che per molti sono sue indispensabili compagne? Intanto, esistono molte forme di visionarietà, e, solo per fare un esempio, la ferma visione intellettuale di un'Ildegarda di Bingen non ha meno valore di quelle di visionari più scarmigliati e scomposti di quanto Ildegarda non fosse. Inoltre, la totale adesione alla classicità di Giorgina Busca Gernetti la porta a dissimulare nel topos, più che ad esibire, ciò che pur mostra, e nel momento stesso in cui lo mostra; e su questo valga per tutti l'esempio dei versi dedicati alla madre morta. D'altra parte, prendiamo alcuni suoi versi emblematici tratti dal libro in questione, che parlando di un paesaggio e di un ambiente parlano di lei:
Ovvero, o almeno così intendo: a stento spunta il verde, ma spunta; ed è ciò che ha più bisogno di essere difeso; il resto ha un'evidenza, una luce così accecante da difendere ogni mistero: il proprio come quello di quel verde, umile e alimentatore di vita. In conclusione, nel lavoro di Giorgina Busca Gernetti non si avverte solo l'estro che punge, la necessità che spinge; ma anche e soprattutto la continua lotta per trasformarli in metodo, per mediare e venire a patti con essi; in una parola si avverte ciò che è stato variamente rappresentato come lotta con l'Angelo, che inizia per autodifesa e a volte si trasforma in qualcosa d'altro. |
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