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Sono passati quasi venticinque anni da quando Franco Battiato scrisse Un'altra vita, una canzone che con l'apparente banalità delle verità semplici e grandi enunciava la necessità di un cambiamento dentro e fuori di noi, di ciascuno e di tutti. Nel frattempo la nostra insoddisfazione e i disastri prodotti dal nostro operare non hanno fatto che crescere, né risultano segni evidenti di un'inversione di rotta. Ma forse qualcosa che sotto traccia si muove verso orizzonti diversi c'è, e forse è in moto da sempre.
Per quanti di noi siano passati attraverso esperienze del genere non è in nessun modo possibile fare di questo libro una lettura neutrale. Leggendolo si prova rabbia (la propria rabbia) e appagamento, come se in certi punti Ruffilli avesse compiuto degli atti di riparazione non più sperati. Un'altra vita è opera di poesia e al contempo critica del costume, della cultura e della società, del nostro mondo almeno, che solo da poco abbiamo scoperto non essere l'unico possibile, ma anzi sempre più periferico e in declino. Ed è, in particolare, fenomenologia (ormai quasi postuma e tuttavia ancora sanguinante) della nostra eretica ossessione che l'amore, nel senso di passione amorosa, sia il centro della vita, un centro però in moto perenne verso oggetti sempre diversi se non anche proibiti. A questo proposito mi viene spontaneo accostare la scrittura di Ruffilli, parte per simpatia parte per contrasto, a quelle di D.H. Lawrence e (per certe inversioni preziose) di D'annunzio; ma il parallelo più stretto mi pare quello, da lui stesso indicato sia pure a mo' di omaggio, col brusio ipnotico e bruciante di Anaïs Nin, con la sua sensualità destinale – sensualità e fatalità, coppia irrinunciabile per l'amore-passione. In questo libro non luoghi, se non toponimi che sembrano più che altro categorie dello spirito; né nomi, se non di pittori, di musicisti, di sante. Le sue storie risultano perciò dislocate nel tempo e nello spazio, con personaggi che dichiaratamente non vogliono che essere funzionali alle storie stesse; le quali magari non sono che un'unica storia, osservata sotto punti vista di vista differenti e differentemente narrata per evidenziarne gli aspetti potenzialmente variabili e quelli assolutamente invarianti. Una storia che ri-vela un messaggio cui già si accennava poc'anzi: fino al momento di chiudere gli occhi, e forse anche oltre, qualsiasi pagina può essere riscritta, qualsiasi nodo spezzato può essere riannodato. Messaggio sì perturbante, ma non privo di promesse, che sarebbe sbagliato confondere con minacce pure e semplici, quasi non si trattasse che di coazione a ripetere: l'errore non esclude la comprensione e il perdono, né l'errare il ritorno. Un'altra vita è comunque e anzitutto un riuscito poema in prosa, che fonde le
due forme (posto che siano due davvero) in una sintesi sorprendentemente
adeguata ai tempi e persino, io credo, capace di guadagnarsi nuovi lettori:
quanti diffidano della poesia esibita come tale ma che al contempo non ne
possono più dei romanzi da spiaggia. |
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