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La panchina

racconto
16 dicembre 2010
e commenti

Carlo arrancò sul breve pendio. Si sentiva sotto una cappa di calore che aveva dell'incredibile.

La stradina sterrata attraversava una spianata spoglia di alberi, solo viti.

Un caldo così afoso da quelle parti non si era mai sentito.

Il sole implacabile donava alla campagna quella cortina tremolante da far sembrare il mondo immerso in un acquario.

Solo un nuovo attacco del frinire monotono delle cicale fece scattare in lui una molla, e aprì bocca per urlare: "Fermate il mondo, voglio scendere!" per poi dirsi che c'entrava quel vecchio carosello del Cynar con la sua luna di traverso, e si sentì un povero cristo!

Che ci facesse in quel posto, Carlo spesso se lo chiedeva.

Ormai era cosa fatta.

Aveva trasferito famiglia e interessi in campagna: per un suo bisogno si era dato alla nobile professione del contadino. Possiamo dire con molto impegno. Anni e acciacchi avevano avuto la meglio.

Carlo cercò di dimenticare con un certo dispiacere una vita trascorsa molto liberamente.

A lui erano sempre piaciute le belle donne: il corteggiamento e la capitolazione erano stati la sua fonte di vita e il lavoro che aveva lasciato lo aveva ben fornito di occasioni.

Con quel mondo aveva chiuso o forse lo credeva. La stanchezza sulle spalle la sentiva tutta.

Mancava poco alla curva e alla agognata sosta sotto un grande sambuco. Qualcuno aveva posto tempo prima una provvidenziale panchina.

Qui, Carlo leggeva il giornale, appena comprato, in santa pace; chiudeva anche il cellulare, e quando faceva molto caldo, si levava la camicia che appendeva a un ramo, per lui quei piccoli refoli che accarezzavano la sua schiena erano una goduria.

Giunse alla meta e scostò le cortine dei rami dell'albero che arrivavano quasi a terra ed ebbe un moto di sorpresa: la sua panchina aveva già un intruso, o meglio un'intrusa che si girò.

Carlo non la riconobbe subito, ma quando due dolcissimi occhi neri lo guardarono, sussurrò: — Irene, sei tu?

La giovane donna sorrise e gli tese le braccia come fa un bambino.

E lui? Lui la prese e se la strinse al petto, la sentì più piccola e fragile di come la ricordava, era stato il suo ultimo angelo biondo. Forse la sua ultima conquista.

Carlo con il suo dolce peso si sedette sulla panchina, e guardandola cercò di sciogliere l'ampio foulard di seta che le copriva la testa e scendeva sulle spalle. Non capiva.

Come le tolse lo scialle comprese, il maledetto male l'aveva colpita. Un senso di repulsione lo invase.

Odiava le malattie in generale, affrontava anche i suoi problemi con molte difficoltà.

Ma ora con Irene ebbe uno slancio inconsueto, e non chiedendo nulla, se la strinse fra le braccia e la baciò avidamente, assaporando ancora quel profumo che non aveva mai dimenticato e quelle labbra piene.

Aperse gli occhi. Incredulo la vide come una stupenda statua egizia dai grandi occhi luminosi. In lui venne la voglia di fare l'amore.

Le chiese con voce roca: — vuoi?

Lei rise e incominciò a spogliarsi. Si distese sul terreno morbido dietro la panchina.

Carlo le si accoccolò vicino e mise il foulard sotto la testa di Irene, piano; aveva paura di farle male. la giovane donna non aveva più la serica matassa di capelli biondi che in altri tempi le avrebbe fatto da cuscino. Lei lo volle baciare ancora, poi si staccò e... gli si offrì.

Una lieve brezza muoveva i lunghi rami che sfioravano i due che non se ne accorsero.

Non fu l'unica volta. Ci furono altri incontri, pochi.

Dal primo si erano ripromessi di non usare cellulari, e se ci fossero stati problemi, dovevano mettere un messaggio fra le pietre di un muretto a secco, e per non scordare il punto, Carlo lo aveva segnato con un pennarello indelebile.

E venne quel giorno. L'uomo non trovò Irene ad aspettarlo, si precipitò e trovò infilato fra le pietre un rotolino di carta azzurra.

Il vento cercò di portarglielo via, ma egli non mollò. Si infilò gli occhiali...e con un lieve tremito delle mani lesse:

“Ciao amore mio, tu già immagini dove potrei trovarmi.
Ho deciso, torno a casa, sento vicino il mio momento. Voglio dormire con i miei cari sulla collina.
Ricordati solo questo, io ho avuto molti uomini, ma ho amato solo te,
Irene”.

Carlo si sentì solo. Pianse.

Prese il piccolo foglio di carta velina lo lisciò bene e lo mise sul palmo della mano offrendolo alla carezza del vento.

Con un tremito, piano piano battendo le ali si alzò una bellissima farfalla blu con dei disegni bianchi: prima volò intorno a Carlo e poi si diresse nel cielo terso verso oriente.

° ° °

Alcuni commenti

Non lo so, ma quando scrivo

Non lo so, ma quando scrivo anche cose in parte di fantasia, nel mio io diventano reali. Scrivo e vivo, In questo caso ho preso i panni di Irene, e ho voluto a tutti i costi, ritrovare l'uomo che avevo tanto amato. Sei un tesoro. Grazie Perla e tanti cari auguri.

Prosa o poesia? Decisamente

Prosa o poesia?
Decisamente della buona letteratura.
Dolcezza, garbo e momenti di luce alternati a momenti di vita. Non so se mi ripeto, ma il leggere i tuoi lavori veicola un sentimento di pace e serenità.
Felice anno nuovo.

Un bellissimo e benevolo

Un bellissimo e benevolo commento, mica scherzo!
Magari potessi portare serenità anche al mando!
Contraccambio col cuore gli auguri
Ciao

Un racconto d'amore, di sentimento e...

... di vita. Che tutto ciò abbia una connotazione di estrema delicatezza è caratteristica dell'autore che fa della sua scrittura una libera trasfigurazione della sensibilità e del romantico narrare. Certo, un po' favolistico l'incontro con Irene, il modo quasi scontato di congiungersi nel gesto più esaltante che la vita può ancora regalare a chi ha già stretto la mano alla morte ma certamente di forte effetto sentimentale, quello che accompagna il lettore tra le righe di una pagina scritta con il cuore più che con la tastiera.
L'appunto è sulla foto in cui la panchina è all'ombra di un albero che può essere tutto meno che un sambuco.

Grazie scribak

E' vero. Io non leggo libri d'amore, ma di amore vivo, come tutti noi più o meno.
Certe storie reali le rendiamo con la fantasia meno prosaiche, e nascono così un po' col sapore di una fiaba.
Io vorrei a volte essere più dura, ma non ci riesco. E quella voglia di creare quel pizzico di magia mi nasce...
E il perché non lo so.
Grazie infinite per quel "scritto col cuore"
Da te è un doppio regalo.

p.s., io volevo una panchina come quella della foto, magari avessi trovato un carrubo centenario. Avrebbe avuto più impatto col racconto. Perdonami!


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