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Lucio Zinna, originario di Mazara del Vallo, vive ormai da molti anni a Palermo. Collabora alla RAI-TV siciliana per i programmi culturali e si occupa di attività letterarie, sia pubblicando saggi critici ed elzeviri su giornali e riviste, sia in qualità di direttore o redattore di altri periodici di cultura.

La raccolta di liriche che oggi ci offre in lettura ha un titolo significativo, che vorrebbe forse essere il compendio di una sconfitta.

L’abbandonare Troia è infatti il cedimento di chi ormai conosce le crudeltà/crudezze della vita, di chi sa il disincanto, di chi si è fatto “presto adulto eppure è rimasto indifeso”.

Troia è nella realtà Palermo, una Palermo assediata (ciminiere, mitragliette skorpion, impossibili scuole...) dalla quale bisogna fuggire, magari in un paesino di montagna così solitario che la quiete ha un “senso d’angoscia”. E lì si potranno allora reinventare le albe e i tramonti.

Ma non credo che Zinna intenda veramente abbandonare Palermo, ormai sua per affetti, ricordi e nostalgie. Ne parla con tenerezza (“Si sgranocchiavano serate blu | e nostalgie campestri”) con amore e una certa rabbia (“struggente Palermo selvaggia”) ma anche con ironia (“e dopo conquistata la città in una lotta a quartiere | durata mezza vita | ci spendemmo il resto a conquistarne l’abbandono”).

In fondo il fuggire da Troia/Palermo “prima che entrino falsi cavalli” è solo un espediente poetico, la constatazione di una realtà che, per quanto difficile da vivere, viene addolcita con certe dichiarazioni che quasi sembrano d’amore: “Tra sbuffi di benzopirene si avverte un mansueto | odore di salsedine” o ancora “la siciliana arsura dell’estate [...] si stempera con douceur al primo | autunno”. In questa Palermo sull’orlo dell’espugnazione si vivono giorni pieni di vita, dentro la città si muovono persone/personaggi amati, amici, semplici figure incontrate per strada: i “volti perlati delle fanciulle normanne” o Mariastella che “ha un riso di cristallo un riso come un volo”.

Percorrendo l’itinerario poetico di Zinna ci si lascia condurre sul filo del ricordo, ma soprattutto si colgono momenti come folgorazioni che il poeta annota qui felicemente.

E felice è pure lo stile del far poesia.

I versi hanno una musica ampia, coinvolgente; alcune parole desuete ne accentuano l’eleganza e la raffinatezza; le reminescenze culturali non alterano la leggiadria. C’è un equilibrio nel comporre che potrebbe derivare da una lunga scuola, ma che invece, più semplicemente, è vero animo di poeta che utilizza con armonia le proprie capacità espressive e ci dona un piccolo gioiello lirico che si legge con piacere e che fa scoprire ad ognuno di noi come si possa essere novelli Ulisse anche alla scoperta della propria isola.

Recensione
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