| |
Ancora sulla lobby degli
ermetici
Sull'ultimo numero de "Il Gabellino" il lettore Maurizio Casagrande
ha espresso in maniera circostanziata, seppure con argomenti non molto
convincenti, il suo dissenso dalla mia protesta-denuncia contro la Lobby
degli ermetici (che a mio parere imperversa nel mondo letterario italiano)
pubblicata sul n. 2 di questa rivista. Credo che il suo dissenso si possa
sostanzialmente ricondurre a due punti, riassumibili con due brani del mio
articolo. Ecco uno dei passi incriminati: "È per questa lobby di vegliardi e
relativi vassalli e servitori, che i poveri poeti (...) che si ostinano a
scrivere chiaro e trasparente, e secondo grammatica, sono stati costretti (...)
a vivere e morire in oscure catacombe»; dove Casagrande ha creduto di vedere
una suprema offesa al nostro maggior poeta Mario Luzi. Ma probabilmente ciò che
ha dato più fastidio al lettore, evidentemente perché non confacente alla sua
poetica, sono state alcune mie affermazioni che si possono altrettanto bene
riassumere in questo brano: "Non si può ignorare che i sapienti del momento
continuino a stabilire una ferrea corrispondenza fra 'oscurità' e poeticità
(...) lodando più il 'non-detto' che il `detto"'; affermazioni che hanno infatti
indotto il lettore a delle contro-affermazioni in nome d'una filosofia estetica
ormai stantia e ancor più perentoria della mia. Premesso comunque che la poetica
è il regno del Possibile e del Gusto (di cui, come si sa, non è da
disputare), cominciamo a esaminarla per prima.
In sostanza, il Lettore sostiene che tutta l'oscurità, tranne
la vera e propria "cripticità", fa bene alla poesia e che perfino Dante e
Leopardi ne facevano largo uso, anzi: la loro forza comunicativa ed evocativa –
egli afferma – dipende dalla valenza connotativa del registro linguistico, e
connotatività corrisponde inevitabilmente ad oscurità. Ebbene, a parte la
strana distinzione fra oscurità e "cripticità" (che a me sembrano avere lo
stesso significato), e a parte anche questa fatalistica corrispondenza fra
connotatività e oscurità (che forse la mia ignoranza mi impedisce di capire), a
me pare che i testi di Dante e Leopardi, così come quelli di tutta la tradizione
letteraria fino al primo Novecento, siano tutti per fortuna trasparentissimi,
tranne qualche passo di Dante così farcito di simboli e allegorie d'altri tempi
da suonare davvero difficile al nostro comprendonio. Sono tuttavia la classica
eccezione che conferma la regola: non si tratta infatti di passi molto poetici,
se i nostri stessi insegnanti ci suggerivano di saltarli a pie' pari, oppure di
accettarli con cristiana rassegnazione in nome di una doverosa scolastica
erudizione dantesca. Non mi pare dunque tanto peregrina la mia affermazione che
tutta la poesia dei secoli passati fosse trasparente e perfettamente
comprensibile. Invece il Casagrande insiste, con affermazioni assolutistiche,
che la poesia non può essere mai facile ed immediata e continua con un'altra
strana distinzione fra "leggibilità" e facilità di lettura, terminando con
l'affermazione perentoria che, mi piaccia o no, il "Non-detto" è l'essenza
stessa della poesia; e a me piacerebbe sapere quale legittima autorità
filosofica l'abbia mai scritto. Crede poi di giustificare questa tesi dicendo
che il Poeta, se è davvero tale, aspira sempre ad esprimere l'inesprimibile, e
in questo modo il nostro lettore si dà, come si dice, la zappa sui piedi. È
ovvio infatti che l'inesprimibile, se non è dicibile, resta lì e si chiama
"Non-detto". Il poeta quindi si darebbe da fare per tradurre il "Non-detto" in
"Detto" attraverso l'espressione; ma tutti
sanno che questa non è altro che la razionalizzazione del "Non-detto" mediante
un linguaggio verbale còmprensibile a tutti, cioè trasparente; che – per
definizione appartiene al regno della ragione dalla quale – ecco il punto – per
definizione è bandita ogni oscurità. Questo che dico non sta più nel regno del
Possibile, o del Gusto, è infatti una considerazione del tutto generale e
inconfutabile che riguarda tutta la linguistica, dalla sua espressione più
primitiva fino a quella altissima del Vate. Quando io, ad esempio, dico piango,
non faccio che razionalizzare senza alcuna oscurità il mio dolore, il quale
appartiene al regno degli istinti, delle emozioni, insomma al regno del
"Non-detto" finché non viene `detto", finché cioè non lo sì esprima in un
linguaggio universale. Perché dovrei fare eccezione per la poesia, dove lo
scrittore fa uno sforzo appunto per razionalizzare sensazioni, sentimenti e
pensieri un po' più complicati?
Quanto al secondo passo incriminato, bisogna proprio dire
che Casagrande non è molto informato sull'attività "paraletteraria" e sul
presenzialismo del nostro "maggiore poeta". Lungi da me l'intenzione
"ingenerosa" di demonizzare l'opera di Luzi e dell'Ermetismo, la qual cosa non
mi sono mai sognato di fare, né su "Il Gabellino", né altrove: ambedue fanno
parte ormai di un'epoca storica della poesia, anche se mi pare strano che al
Lettore stia tanto a cuore di perpetuarla. [...]
La lobby comunque non è sostenuta soltanto da questo nostro
maggior poeta (anche se la sua autorità da sola basterebbe) ma anche, come tutti
sanno e come avevo scritto nella mia amara denuncia su "Il Gabellino", nelle
congreghe dei più importanti editori, dei più importanti giornali letterari e
dei più importanti concorsi, luoghi in cui si annidano i figli e i nipotini
dell'Ermetismo più biecamente criptico e strampalato, i quali fanno il bello e
il cattivo tempo favorendo naturalmente i loro simili e tagliando le gambe ai
dissidenti. [...] Giudicheranno dunque i lettori, un po' più informati di
Casagrande, se la mia definizione di Lobby degli ermetici fosse tanto
peregrina. [...] Se il lettore cui non è piaciuto il mio articolo è contento di
continuare per questa strada "moderna" (che data ormai da quasi cent'anni) in
nome della vecchia teoria elitaria da lui stesso tanto difesa che "poesia è
uguale a Non-detto", si accomodi; ma resta il fatto che molti altri colleghi
poeti si battono per una poesia che sia liberata dalla clandestinità delle
catacombe e riconosciuta pubblicamente come una nuova fase della storia
letteraria che si apre al terzo millennio, una poesia trasparente e
comprensibile a tutti gli uomini di buona volontà. I quali, per capirla, è
sufficiente che sappiano leggere e scrivere.
Pratovecchio (Arezzo), 15 luglio 2001
| |
 |
Materiale |
|