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Dove va la poesia
Io credo che anche riguardo al modo di concepire la poesia stia finendo un'epoca. La funzione del decadentismo, con tutta la fioritura di "ismi" cui ha dato luogo nel nostro secolo, sembra proprio esaurita. Croce addirittura era andato più in là, fino al romanticismo, nel denunciare il peccato originale della poesia, d'avere essa assunto cioè il poco dignitoso carattere di confessione autobiografica minima, più o meno crepuscolare, più o meno significante, ma sempre poco preoccupata della sua funzione di edificazione morale. La poesia insomma ha rinunciato ad essere specchio e fondamento della coscienza morale universale. L'impulso che col decadentismo ha dato il via a questo processo è stato certo positivo, per l'apertura a territori sconosciuti della psiche e della parola; ma la prova che la sua funzione sia oggi esaurita è sotto gli occhi di tutti ed è proprio la sua dispersione tra una folla di nipotini degeneri che scorrazzano fra il simbolismo e l'errnetismo. fra il lirismo intimista e lo sperimentalismo d'avanguardia; un'avanguardia, fra l'altro, che insiste a chiamarsi così dopo 30 o forse 50 anni, e già la chiamano neo-avanguardia. Insomma una babele di correnti, ma con una stessa colpa: aver alimentato solo l'ego usino dei poeti trattando argomenti per lo più di nessuna rilevanza esistenziale, e aver prodotto perciò una frattura fra i poeti e il loro pubblico confinando la poesui in un vero ghetto. La crisi attuale e dunque crisi di pubblico, perché crisi di contenuti e di idee Sembra che il Decadentismo abbia alimentato una specie dl nevrosi collettiva. la paura di affrontare le grandi realtà della vita e la credenza che la poesia si debba occupare di ogni nonnulla, trastullandosi più con le immagini che con i contenuti gettando alle ortiche l'antico impegno di farsi leggere dalla gente. anche dal cosiddetto uomo della strada fornito di media cultura e media sensibilità. Ora si tratta di riguadagnarne la fiducia convincendolo che ill poeta è una persona come lui che si è preso la briga di comunicargli in una forma convincente ed efficace le proprie riflessioni sul mondo e sulla vita, le stesse da cui anche lui è stato sempre tormentato e angustiato e che magari aveva anche oscuramente intuito, ma non coscientemente formulato. Ma cosa si può fare perché la nostra poesia ritorni ad essere così interessante da renderne indispensabile a tutti la lettura? Evidentemente bisogni che la poesia tocchi ed esplori cose e fatti che non possano non interessare, cose e fatti che da sempre e a tutti stiano molto a cuore. Bisogna che faccia sentire nella pagina la presenza di quella armonia e coscienza cosmica che per Croce ha una profonda valenza morale Ma non è evocando anche i migliori sentitnenti, che si ottiene tutto ciò. La prima e più importante pulsione dell'uomo è conoscere, rappresentarsi la realtà che sta intorno a lui o dentro di lui; e anche la poesia, come la scienza e ogni altra attività dello spirito, obbedisce a questo innato bisogno di darci delle rappresentazioni comprensibili della realtà; la poesia raggiunge questo scopo attraverso l'analogia, che (condizione per comprenderle) stabilisce relazioni di somiglianza con gli oggetti a noi familiari del mondo che ci circonda. Nessuna scienza logica è mai stata capace di darci spiegazioni della realtà esistenziale, ma forse lo può la poesia con le sue illuminazioni – che potrebbero anche anticipare le dimostrazioni scientifiche – purché ogni sua rappresentazione, anche se non dimostrabile razionalmente, suoni come verosimile e coerente. Corollario dunque di tutto ciò, anche se un po' difficile da digerire, è che lo scopo della poesia non è di suscitare i sentimenti, come sembra credere la maggior parte dei poeti che la usano come sfogo per titillare i loro privati piaceri o dispiaceri d'amore. Non mi si fraintenda: i sentimenti esistono e vengono dunque sempre e inevitabilmente suscitati dalle immagini, ma come un prodotto secondario, un sottoprodotto. E indubbio che ogni immagine. anche la più astratta, si trascina dietro una determinata emozione; qualunque cosa noi facciamo, vediamo od udiamo, ci procura emozioni; ma certamente non è questo il fine ultimo della poesia. Una cosa è l'esperienza diretta e personale di uno stato d'animo, l'emozione appunto che ognuno di noi vive tutti i giorni ed è, per definizione, soggettiva e passeggera; altra cosa è invece la contemplazione oggettiva e consapevole, l'intelligenza di quella stessa esperienza. E' questo, ciò che si chiama attività dello spirito ed assurge a dignità di poesia. Il poeta insomma non fa che oggettivare ciò che tutti inconsciamente percepiscono, ma che non sanno formulare oggettivamente. La poesia dunque dovrebbe bandire bazzeccole e nullità e affrontare invece le vere realtà della vita, le mille domande che hanno assillato l'uomo fin dall'inizio della sua esistenza. Purtroppo ciò che assilla l'uomo non è mai tanto gradevole. al. cimenti egli non ne sarebbe assillato. Volete degli esempi di domande inquietanti? La morte, il corpo, la materia. la sostanza vivente, le nostre origini. il nostra, il nostro destino, l'amore per tutte le creature, il mistero dell'universo, Dio. Solo questi grandi terni polarizzano veramente il nostro interesse; ma sono tutti inquietanti, e inquietanti vuol dire che fanno in qualche modo paura, o ripugnanza, o producono comunque malessere. Ma per questo li dobbiamo ignorare rinunciando a un ulteriore allargamento della conoscenza? Qui il problema non è più estetico. ma di ordine morale; cioè, non è di decidere se un poema che dica cose sgradevoli sia o non sia poesia, questo lo decide l'efficacia dei suoi versi; il problema è di decidere se sia lecito che la poesia si occupi di cose sgradevoli. Ebbene, se la poesia è una forma fondamentale di conoscenza, l'unica forse capace di darci delle rappresentazioni soddisfacenti della realtà, bisogna decidere se della realtà vogliamo veder tutto o soltanto gli aspetti che non ci turbano; cioè se vogliamo che la poesia ci dia solo serenità, o piuttosto materia su cui riflettere. Io opto naturalmente per questo, anche se so purtroppo che i problemi non hanno mai dato serenità. Ma d'altra parte, su che cosa vogliamo riflettere? Esclusivamente sulle cose allegre e piacevoli, che non hanno mai dato preoccupazione, ma che in genere sono anche piuttosto ovvie e poco interessanti? I soliti palpiti d'amore, la primavera. la natura. i voli di rondini? Ma dove sta scritto che la poesia deve rappresentarci soltanto le cose piacevoli? E poi ci sono anche gli aspetti buffi e ridicoli degli esseri viventi, realtà biologiche che sono sempre state accettate come ovvie e su cui mai la poesia si è soffermata; ma che ovvie non sono affatto, se le si considera con occhio meno distratto e superficiale. Nessuna scienza è mai stata capace di darci spiegazioni; ma forse lo può la poesia con le sue illuminazioni (che potrebbero anche anticipare le dimostrazioni scientifiche) purché naturalmente ogni sua rappresentazione – anche se non dimostrabile razionalmente – suoni come verosimile e coerente. Ma il fatto è che certe realtà biologiche vengono considerate, diciamo così, di rango poco elevato e molti pensano che non si addicano al nobile rango della poesia. Io invece invito i poeti a tenere alto il principio che tutto ciò che esiste è degno di considerazione e che quindi non vi sia un soggetto – nemmeno uno – che non si possa affrontare col linguaggio poetico. La poesia è in grado di trasfigurare tutto, anche le cose più sgradevoli, se lo scopo non è quello di rotolarvisi dentro e se la statura morale del poeta, col suo desiderio di edificazione, si fa chiaramente intuire nello sfondo. Per concludere. io penso che occorra battersi perché la poesia abbandoni tutti i tabù e affronti finalmente le vere realtà della vita, senza esclusioni di temi, se lo scopo non è quello fine a sé stesso di coltivare la morbosità, bensì di riflettere sui misteri e sulle cose straordinarie che ci circondano e di tentare una nuova lettura di esse. Il poeta non può e non deve rinunciare a questa funzione, conferitagli fin dal l'antichità; egli dovrebbe trasmettere agli altri la propria concezione della vita e una saggezza e coscienza morale che possano costituire punti di riferimento. Ma c'è di più. Mi sembra triste e anche vile passare il tempo a fissare sulla carta frammenti di effimere emozioni private: e anche quando si ottenessero belle e folgoranti immagini o toccanti descrizioni di stati d'animo capaci di interessare tutti, ma affidate a singoli versi u singole liriche. esse sarebbero sempre un po' monche, perché incapaci di suscitare negli altri una vera riflessione. se si evita l'impegno morale di coordinarle e inquadrarle in un discorso pili ampio. un poema una storia che contenga un supermessaggio o un insegnamento, che sia insomma animata da una forte motivazione morale; e scusatemi se ripeto che la poesia, che non insegni qualcosa o non faccia almeno riflettere, non serve a nulla. Io mi auguro che ogni poeta, in questo mondo di materialismo forsennato che sta trasformando l'uomo in macchina o in bestia, riconquisti con la propria parola e col proprio esempio l'antica funzione del Sapiente e della Guida. che una volta si diceva del Vate. in: Enmo Wyler, Delos. Antologia di poeti contemporanei, |
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