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Inutili vezzi poetici

Non è possibile ancora tacere. Oggi, con questo terzo millennio che ci era apparso ormai proiettato verso un nuovo futuro poetico e invece si rotola ancora imperterrito nel suo stato di avanzata decomposizione causato prevalentemente da avanguardie che tutti speravano ormai defunte perché hanno imperversato per tutto il secolo imbavagliando la comunicazione poetica con ermetici funambolismi di parole, oggi non se ne può più. Tacendo ancora, peccheremmo tutti di omertà. E allora, indignato che ancora troppi riempiano la povera carta stampata con segni privi di senso, oso alzare la voce contro alcuni vezzi tanto perversi quanto inutili anche a costo di scatenare le vendette di molte corporazioni.

Prenderò di mira due dei vezzi più insensati che siano mai stati eretti a istituzione da dei poeti che purtroppo vanno ancora per la maggiore nonostante la loro mummifica vecchiezza. Uno è il vezzo, talmente inutile e ridicolo da far sospettare che sia un trucco di chi non sa come riempire la pagina, di dilatare una poesia come fanno i tacchini che da piccoli piccoli appaiono enormi quando fanno la ruota. Parlo del vezzo di scrivere versi cortissimi e rarefatti, spesso di una sola parola, messi in fila come nella lista della spesa: Pomodori | melanzane | dentifricio | panini | detersivo | carta igienica. Ma aspettate, ché ora viene il bello, perché quegli ignoranti neanche si accorgono che le singole parole, messe nell’ordine dovuto, farebbero quasi sempre un bell’endecasillabo! Provate per credere:

Pomodori melanzane dentifricio
panini detersivo carta igienica.

Non sarebbe una bella poesia?
Il secondo vezzo, ancora più inutile e insensato, è di interrompere il verso a metà e continuare con l’altra metà scrivendola sfalsata un rigo più sotto. Ecco, pescando a caso fra i luminosi prodotti della poesia novecentesca, neanche tanto vecchia, in che modo uno dei nostri Grandi scrive una sua poesia. Per pietà non svelerò il nome dell’illustre autore perché si tratta dell’incipit d’una sua poesia nella quale fra l’altro non si capisce di chi si parli, né di che cosa.

Il sempreverde
                        e contro il sempreverde
il già meno verde
                        non ancora porporino.
Si vede adolescente
                        lei in quella rapina
traversare obliqua
                    il diluvio delle foglie

Ululo di dolore per lo scempio di parole e di significati, poiché oltretutto manca ogni segno di interpunzione che possa fornire qualche aiuto (ma questo è ancora un altro assurdo vezzo), e mi chiedo e vi chiedo: che cosa ha guadagnato la poesia scrivendo i versi in quel modo anziché in quello “normale”? Stavo per dire “tradizionale”, ma non ho più voglia di sentire le grida arroganti degli avanguardisti per darmi del codino, del retrivo e dell’anti-progressista. Come se Progresso significasse distorcere la lingua italiana. A me basta che si confrontino le due versioni:

Il sempreverde e contro il sempreverde
il già meno verde non ancora porporino.
Si vede adolescente lei in quella rapina
traversare obliqua il diluvio delle foglie
ecc. ecc.

Mi sa dire qualcuno se il “significato”, o il “significante”, o il pathos, o il lirismo, o che so io qualunque altra cosa ci si aspetti dalla poesia, ne ha sofferto? Vogliamo deciderci a mettere una buona volta alla berlina tutte queste gratuite adulterazioni della poesia?

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