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La rappresentazione estetica della realtà

Ogni poeta si è interrogato almeno una volta circa la ragione e il significato del suo poetare. Molti hanno risposto e in vari modi, ma la poesia non sembra ancora collocarsi soddisfacentemente nel quadro di una teoria più generale comprendente le altre attività dello spirito, in particolare le scienze e la filosofia. Anzi, è ancora credenza molto comune che poesia da una parte, e scienza e filosofia dall'altra, siano antitetiche; eppure contro questa opinione si possono sollevare molte obiezioni. Quello presente vuole essere appunto un contributo alla riflessione su tale problema e il tentativo di attribuire alla poesia valore e significato di attività conoscitiva, mostrando che essa ha in comune con la scienza la matrice biologica e il processo mentale; e che ambedue, scienza e poesia, mirano a consegnarci delle rappresentazioni verosimili del mondo obbedienti a leggi che a pieno diritto si possono definire estetiche.

Tutti sanno quanto incerte e caduche siano le cosiddette verità scientifiche; la scienza non sembra capace di fornire certezze, ma rappresentazioni del mondo (teorie) che solo in un determinato momento storico ci appaiono verosimili e soddisfacenti, cioè (come suole dire Popper) non falsificabili, perché in quel momento non si conoscono osservazioni discordanti. Ma non appena si scoprono fenomeni che sfuggono al denominatore comune di una teoria, questa perde evidentemente la sua capacità di verosimiglianza e quindi decade; allora si cerca di correggerla, oppure se ne fanno altre ancora più arrovellate, nel vano tentativo di comprendere sotto l'ombrello del denominatore comune tutti i nuovi fenomeni di cui ora si è a conoscenza; ma tutte poi vengono ancora sostituite da altre, in un gioco senza fine di aggiustamenti e revisioni. Questo si dice che costituisca il glorioso cammino della scienza. D'altra parte, non si riesce ad immaginare come essa potrebbe avere un destino più confortante, dato che fin dalle origini l'evoluzione non ha certo costruito il meccanismo della mente allo scopo di scoprire il Vero, bensì solo per aumentare le probabilità di sopravvivenza dell'individuo che vagava perigliosamente nelle savane, dandogli modo di escogitare qualche utile marchingegno di difesa, clave, frecce, fionde, fucili, cannoni; se si ignorano questi limiti costituzionali della mente, si cade fatalmente nel tranello in cui cadono molti scienziati, che, blanditi dalla società, sono convinti di strappare alla natura verità assolute e di progredire continuamente verso la scoperta della formula che rappresenti l'intero universo; dal loro piedistallo annunciano ogni volta pompose spiegazioni del mondo e non tutti si rendono conto che tutta questa frenetica attività li porta sì a sfondare un muro dopo l'altro, ma sempre trovandone di nuovi, in una isterica esplorazione senza fine del vuoto.

Eppure, per quanto incerte, precarie, inutili, possano essere le loro osservazioni e spiegazioni del mondo, vi è un fatto certamente incontestabile che per le nostre riflessioni ha molta rilevanza: questa pur precaria apparenza di verità produce una forma singolare di piacere, poiché appaga un misterioso bisogno di ordine e stabilità emotiva riscontrabile in ogni essere umano. E' in realtà soddisfacendo questo misterioso bisogno, che gli scienziati, o i filosofi, provano brividi ed emozioni di compiacimento del tutto simili a quelle sperimentate dai poeti; anch'essi hanno la loro brava intuizione-ispirazione, chi osservando una mela che cade, chi osservando i satelliti di Giove, chi le scintille di uno spinterometro; anch'essi danno forma alla loro prima e vaga intuizione con un linguaggio universale di parole o numeri; anch'essi lavorano di forbici e di lima per sfrondarla e perfezionarla; e anch'essi si volgono infine compiaciuti ad ammirare la bellezza della loro finalmente perfetta creatura. Sembra strano, ma tutto ciò accade esattamente come ai poeti o ai filosofi.

E' evidente che questi e quelli, apparentemente così diversi e distanti, fanno in realtà le stesse cose perché inseguono, pur con linguaggi differenti ma uguali processi mentali ed uguale tensione emotiva, lo stesso tipo di appagamento; il quale sopravviene solo allorquando la mente, nel suo instancabile fantasticare sul Vero, riposa finalmente su qualcosa che del Vero, così come noi ce lo figuriamo, ha almeno l'apparenza, cioè la coerenza ordinata di tutte le cause ed effetti, ovvero di tutte le relazioni logiche fra le cose. Non si dimentichi che la coerenza, cioè la costanza e regolarità nel riprodursi delle cause e degli effetti, è una condizione rassicurante che oltre a esserci molto familiare è assolutamente necessaria alla nostra mente, proprio perché questa è stata strutturata dalla natura all'unico fine di scoprire tra i fenomeni quelle relazioni di causa ed effetto da sfruttare in qualche modo per la sopravvivenza; quindi la mente è condizionata fin dalle origini a rispondere con un'emozione piacevole, ogni volta che essa riesce ad isolare dal caos fenomenico un lembo di terra solida e rassicurante, una rete di connessioni logiche entro cui muoversi e decidere le proprie azioni.

E' questo dunque ciò che manda in solluchero scienziati, filosofi, o poeti. Che si tratti, o meno, della verità, a nessuno interessa veramente; l'unica cosa cui questi e quelli veramente e intensamente aspirano è la costruzione verosimigliante, la bella, armoniosa, ben riuscita architettura del pensiero che non ha nessun'altra ambizione che d'essere contemplata con piacere. Se poi qualcuna è anche in grado di confermare la sua verosimiglianza producendo qualche utile ricaduta pratica, come nel caso della scienza tecnologica, tanto meglio; ma è necessario insistere sul fatto che la soddisfazione emotiva prodotta da una scoperta, come da un poema, è intrinsecamente legata al processo mentale della sua elaborazione. Se infatti si potesse spogliare la scoperta scientifica da ogni secondo fine utilitaristico, non per questo verrebbe meno la soddisfazione dell'autore per la bella operazione e si vedrebbe con maggiore chiarezza la spinta emotiva di fondo. Paradigmatico è il piacere dei matematici, come dei poeti, nessuno dei quali si sognerebbe mai di spacciare le proprie creazioni per veritiere rappresentazioni del mondo, ma certamente sì per belle rappresentazioni del mondo, soddisfacenti il nostro innato bisogno di vedere intorno a noi, fra le cose, relazioni spazio-temporali ordinate, coerenti, armoniose, le stesse che all'uomo tecnologico del paleolitico assicuravano la sopravvivenza. Non solo dunque poeti e scienziati, ma ogni mente umana impegnata in un'attività creativa, compiono la stessa medesima operazione di proiettare sul mondo esterno il proprio innato ordine interiore, che altro non è se non la struttura fisico-chimica che sostiene e alimenta l'Io, anche se sono consapevoli che ciò che l'Io ricrea al di fuori di sé è solo lo specchio del proprio ordine interiore, forse privo di alcuna corrispondenza con la realtà. Per quanto ciò possa suonare sgradito agli scienziati che credono d'essere depositari della ricerca del Vero, non si può eludere la conclusione che la scienza, come qualunque altra attività dello spirito, sia in realtà poesia!

Ma il nucleo centrale di questa riflessione è forse la domanda di come nasca questo bisogno di ordine, e quindi di armonia; e perché l'idea stessa di ordine e armonia sia così innata nell'uomo (ma anche negli altri organismi viventi) da fargli percepire come piacere ogni cosa o fatto che vi si impronti e fargli dare ad essi senza esitazione l'attributo di Bello. La spiegazione dell'origine di quest'idea ancestrale, o archetipo, va ricercata agli albori della vita, nel brodo primordiale in cui per la prima volta si allinearono, secondo un ordine che fu premiato da successo, alcune molecole semplici che fino allora vagavano libere, venendosi così a formare i primi aggregati molecolari complessi destinati ad acquisire le proprietà dei viventi. Quest'ordine, uscito dal caos della materia inorganica forse per un evento casuale o forse per intervento divino, è rimasto impresso nei codici genetici di quelle prime forme viventi perché indissolubile e indistinguibile dalla loro stessa struttura ed essenza; si è potuto conservare fino a noi replicandosi infinite volte durante l'evoluzione perché costituiva il corpo stesso degli individui.

Ciò che distingue dunque la vita dalla non-vita è nient'altro che l'ordine. L'Ordine è il nocciolo del nostro essere, l'ubi consistam dell'individuo. Perché meravigliarsi, se esso è stampato in ogni manifestazione di organismo vivente, virus, pianta o animale, fino a diventare nella mente dell'uomo un'idea così altamente consapevole e forse ossessiva, un a priori kantiano capace di informare ogni gesto e pensiero e di far percepire come Bello qualunque cosa del mondo che gli assomigli? Secondo le teorie che hanno rivoluzionato la fisica contemporanea, e come d'altra parte hanno sempre predicato le filosofie orientali, nel mondo inorganico non regnerebbe alcun ordine né alcuna legge di causa ed effetto, ma forse solo un turbinio di particelle che casualmente nascono e casualmente scompaiono; l'ordine e la causalità che noi crediamo di vedervi non sarebbero altro che una creazione della nostra coscienza. Ogni essere vivente dunque, a suo modo e secondo le proprie possibilità espressive, manifesterebbe la sua forza vitale proiettando il proprio ordine interno, quello delle sue molecole e delle sue cellule, sull'indecifrabile e caotico mondo esterno; gli animali inferiori attraverso lo stesso svilupparsi e riprodursi del soma e l'attuarsi di un progetto di vita; quelli superiori, e in modo eccelso l'uomo, ridisegnando nell'informe materia del Chaos le proprie interne coerenti strutture mentali. Ma tutti gli organismi viventi hanno quest'unico scopo: mantenere in vita la scintilla di quell'ordine interiore che costituisce la loro stessa essenza e identità, la stabilità del loro Io, lo specchio di quei geni ordinati che sono depositari della Vita.

E' dunque un attributo inevitabile della vita, e non una singolare peculiarità umana, o un lusso superfluo dell'evoluzione, vedere ovunque nell'universo meravigliose rassicuranti manifestazioni coerenti di ordine, di armonia, di bellezza, il rassicurante moto delle stelle, la riposante geometria dei cristalli, il confortante avvicendarsi dei giorni e delle stagioni, esaltandoci nella continua esplorazione dei fenomeni e nella creazione di sempre nuove architetture del pensiero, in una ricerca mai sazia che noi crediamo sia del Vero, ma in realtà è soltanto affermazione della vita; e naturalmente è una necessità vitale anche l'incessante e quasi coatta ricerca, propria dei poeti, di accostamenti, associazioni, metafore, il cui fine sembra essere la creazione di immagini e concetti, alla ricerca della verità poetica; ma il gran motore non è in realtà che l'anelito della sostanza vivente ad esprimersi, ad estrinsecare e propagare l'ordine che ha in sé, questa forza rassicurante e consolatrice capace di cancellare il timore dell'annullamento e di esorcizzare il ritorno nel Chaos.

Quest'evidenza sembra dunque indurre a considerare poesia, in senso lato, ogni attività mentale proiettiva che si esprima con un linguaggio materiale articolato, cioè ordinato, sia essa poesia vera e propria, o scienza, o filosofia, o qualunque altra arte o mestiere. Una vera e propria pòiesis, che nel suo estrinsecarsi ha tutti i caratteri dell'attività conoscitiva, anche se ciò che conosce non è che una proiezione del suo mondo interiore. La potremo, più onestamente, chiamare rappresentazione estetica del mondo, abbandonandoci alla speranza di una verità che sappiamo in anticipo di non poter mai raggiungere con la ragione, ma che si potrà sempre contemplare con la mente poetica. Infatti, unica peculiarità della poesia è che le sue rappresentazioni della realtà non possono essere smentite o contradette, come accade invece a quelle della scienza quando sopravvengono nuove e discordanti osservazioni: le rappresentazioni poetiche, pur nella loro contingenza e mutevolezza, valgono come verità assolute, non falsificabili, dal momento che non fanno parte di alcun sistema di riferimento logico in grado di giudicarle. E' solo dalla poesia, dunque, che si può sperare d'essere saziati; e non è errato forse considerarla l'unica fonte possibile di conoscenza che ci sia data, ammesso che ci venga concesso di trarre qualche barlume di luce da un mondo di fenomeni incerti e ingannevoli.

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