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Ricordo di Vittorio Vettori

Vittorio Vettori quest’anno ci ha lasciati. Molti, e più qualificati di me, hanno certo parlato delle sue poliedriche doti di letterato, di studioso, di critico, di poeta, di dantista, di erudito; era un pozzo di cultura, alle sue conferenze non ci si annoiava mai. Tuttavia credo che pochi abbiano parlato della sua figura umana, della mente aperta e generosa, del suo non risparmiarsi in una frenetica attività di ricerca storico-letteraria. Io qui vorrei contribuire alla conoscenza dell’uomo con un aneddoto personale.

Di mestiere mi sono sempre occupato di ricerca scientifica, pur sempre contrappuntata da una furiosa scrittura di poesie; che tuttavia non ritenevo fossero degne di vedere la luce, in quanto non si distinguevano gran che dalla massa di poesie ermetiche, intimiste, minimaliste, che venivano clonate quotidianamente in Italia. Quando sono cresciuto abbastanza da formarmi una mia poetica personale, e ho deciso di gettarmi anch’io nell’agone (forse troppo tardivamente rispetto ai miei coetanei già famosi) mi trovavo ad avere nel cassetto, nell’anno 1986, una congerie di poesie di cui ciascuna rappresentava un momento troppo personale della mia vita, e non sapevo quindi con che criterio ordinarle in un volume in modo che potessero interessare al lettore, il quale degli affari privati altrui se ne infischia. Di buttarle in un libro così com’erano, alla rinfusa, come fanno quasi tutti, mi ripugnava; e allora come fare? ordinarle cronologicamente? ordinarle per argomento? Scelsi di ordinarle in modo che il loro insieme si leggesse come una storia di fatti reali e di eventi lirici, anche a costo di modifiche, cuciture e creazione ex novo di poesie che dovevano colmare qualche buco nella trama; e nacque così quello che chiamai “Romanzo lirico”. Ma io, che avevo fatto solo lo scienziato, e mi ero per giunta ritirato a fare il contadino d’altri tempi, non conoscevo nessuno che mi potesse rassicurare sulla bontà di questa mia operazione, non sapevo a chi farla leggere, non sapevo neanche come si facesse a pubblicare un libro di poesia. Il caso ha voluto che nel paese in cui vivevo si svolgesse il Premio Romena, fra i cui giurati, oltre a Luzi, Spaziani, e Bigongiari, c’era anche Vittorio Vettori, per il quale ho provato subito d’istinto una deferente simpatia; indovinavo in lui l’apertura mentale, l’onestà e la serietà del vero studioso, unite ad una giovanile capacità di entusiasmarsi. Il fatto poi di scoprire che abitava non lontano dai miei boschi mi fece provare un sentimento di compaesanità che mi diede il coraggio di avvicinarlo e di mettergli nelle mani il mio dattiloscritto. Lui fu molto affabile, promise che l’avrebbe letto, ed io col mio solito pessimismo pensai che fosse un modo generico per togliermi dai piedi come fanno tanti “addetti ai lavori” davanti ad un tanghero di emerito sconosciuto, che fra l’altro era anche male in arnese. Non vi dico la mia meraviglia, anzi i salti di gioia che feci quando la mattina successiva, e di buon’ora, mi telefonò e col suo bellissimo generoso entusiasmo mi disse ch’era stato tutta la notte a leggere e rileggere il mio lavoro. Disse proprio queste parole, che mi si sono stampate in testa: «E’ un vero libro!», facendomi intendere con ciò che non solo approvava quella mia prima audace operazione poematica, ma che anche secondo lui “un vero libro” doveva raccontare qualcosa, avere una storia in cui i fatti materiali si integrassero con gli eventi spirituali, avere un capo e una coda, un principio e una fine, insomma una trama; e che anche se il libro era suddiviso in singole poesie, o lasse, queste dovevano essere strettamente collegate dal filo conduttore in modo che ognuna illustrasse un aspetto della vicenda e tutte insieme indicassero alla fine un significato morale che fosse un punto di riferimento. Mi ricordo anche che mi dette subito del Tu, nonostante che anch’io avessi i miei anni. Ebbi così la conferma che ero sulla strada giusta, e mi illusi d’essere entrato nella Letteratura per la porta principale. Gli devo anche riconoscenza per avermi accompagnato per qualche anno sulla mia strada sempre con grande ammirazione, scrivendo entusiastiche prefazioni a due miei libri; ma ben presto dovetti accorgermi come “sa di sale” la strada della poesia, con quanta diffidenza si è accolti nella “comunità letteraria”, quanti soldi e quante fatiche si devono spendere per pubblicare e far leggere i propri libri e difendersi da voraci e spesso disonesti editori. E poi invidie, gelosie, incomprensioni, voltafaccia, tradimenti, ignoranza, tutta la gamma delle peggiori passioni umane che allignano nei salotti e nelle conventicole letterarie. Purtroppo anche Vittorio Vettori ne è stato l’inconsapevole vittima lasciandosi sedurre da una persona invidiosa: un bel giorno, sono sicuro senza cattiveria, mi ha dovuto voltare le spalle. Ma io ormai ero diventato forte, anche per merito suo; e ora non voglio ricordare di lui che quel bellissimo, onesto, sincero, generoso entusiasmo con cui quasi mi gridò al telefono «E’ un vero libro!». Grazie, Vittorio.

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