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Abbandonare Troia
In Abbandonare Troia c'è tutto Zinna
Lasciarsi dietro le spalle la
distruzione, lo sfacelo, per andare in giro per il mondo e cercare un
rifugio sicuro, una nuova patria, un nuovo motivo per vivere: è questo, forse,
il più o meno inconscio desiderio di ogni persona a cui pesa vivere in una
società piena di violenza, di contraddizioni, di assurdità. Ed in ognuno rivive
il mite Enea, il cui viaggio dettato da necessità oggettiva, non dalla
curiosità, mista allo spirito di avventura di Ulisse. Enea è l’uomo comune,
costretto a diventare eroe, che abbandona le rovine di Troia ed aspira alla
tranquillità.
Questo lungo preambolo per
cogliere il nucleo centrale del tema dell’ultimo libro di poesia di Lucio Zinna,
Abbandonare Troia, edito dalla Forum Quinta Generazione. Questo desiderio di
sparire, di abbandonare tutto è la tematica fondamentale, infatti, di questa
poesia dai versi lunghi, ricca di notazioni, complessa nella sua costruzione,
semplice nell’enunciazione. Poesia civile, lucida fino allo spasimo, colloquiale
e comunicativa, ma sempre discreta e controllata, dove viene trattato un
quotidiano, trasfigurato fino a diventare poesia universale.
Condividiamo, quindi, il
prefatore Raffaele Pellecchia, quando scrive: «Ne deriva l’acquisizione di una
tonalità energica e combattiva che, tuttavia, non trasborda dai confini e dalle
linee di una «décence» e di una medietà tipiche di un gentiluomo della penna
come Zinna, attento alla misura della espressione e al suo interno equilibrio,
ma anche alla sostanza umana che alimenta il gioco delle forme poetiche
rendendole partecipi di un rovello che investe le più profonde radici dell’uomo
e del suo vivere hic et nunc: tra i tentacoli di una civiltà che conduce
sempre meno spazi ai bisogni elementari e sacri dell’esistenza... «Ma non siamo
d’accordo con Melo Freni che, nella nota sul risvolto della copertina, afferma:
«Continua, la avventura di Ulisse sotto una luna che non sa essere più esaltata
o mortificata dalla confidenza dell’uomo, arrivata, alle estreme conseguenze
della conquista». Per noi, l’abbiamo già detto, si tratta di un Enea dei nostri
giorni e non di Ulisse. E basta citare lo stesso Zinna: «Piantare tutto.
Allogarsi da queste parti con la sacrafamiglia nel più remoto villaggio /
mettersi in pensione anzitempo vivere del minimo: prima che entrino falsi
cavalli abbandonare Troia...» («Sessantacinque versi per il treno della
Maiella»).
È
un dettato costellato da interrogativi indiretti, che tende ad approfondire, in
uno scavo interiore, che è lieve solo in apparenza, la tematica della
quotidianità. Abbiamo, così, una serie di plurisignificati, in uno straordinario
affollarsi di immagini, carpite alla vita di tutti i giorni e di profonde
riflessioni, che si risolvono, spesso, in magie sfumate. Si tratta di una poesia
che riesce a rendere tangibile l’interiorità e l’indistinto delle emozioni,
esibendosi in affioramenti inventivi, traboccanti di lucido furore comunicativo.
Zinna ha saputo fondere
realtà e irrealtà, verità e fantasia, mettendo a centro di tutto l’uomo, con i
suoi problemi esistenziali di sempre, a cui si aggiungono quelli del mondo
contemporaneo, ostile, in cui regnano l’indifferenza, la violenza e la corsa al
successo.
Sul piano formale, Zinna
si serve di moderni strumenti linguistici, senza sperimentalismi, agendo in
un’area metaforica, dove vengono evidenziate le problematiche umane. E la
soluzione sta nella ricerca dell’autoidentificazione, in nome del binomio
amore-intelligenza.
Non si cade mai
nell’opera a tesi, però, così come viene evitata la facile caduta nel moralismo,
in quanto tutto viene alleggerito dall’ironia. Zinna, infatti, osserva con
distacco sovrano questo mondo di cui ci fa notare l’assurdità e la gratuità
quando tutto diventa drammatico, risolve la situazione con una battuta o con un
brusco rientro nel quotidiano.9 maggio 1987
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Recensione |
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