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Paolo Ruffilli, uno dei più
quotati e importanti poeti italiani, continua il suo discorso sociale, dopo
La gioia e il lutto (che trattava di aids) affrontando nel suo ultimo
libro, Le stanze del cielo, il problema del carcere e della
tossicodipendenza. Sono due aspetti della sofferenza e della distruzione
psichica di un uomo, non necessariamente collegati, ma che hanno molti punti in
comune. Non sono trattati sociali ma composizioni poetiche che non perdono la
loro bellezza e autenticità. Infatti Ruffilli si affida a una quotidianità senza
simbolismi né orpelli e riesce a rappresentare il problema, senza cadere nel
banale. La sua è una poesia ricca di idealità, basata su un concreto che non è
mai fine a se stesso, arricchita da una tecnica abile e funzionale. Partecipa
alla sofferenza dell’uomo mentre l’avvicendarsi delle motivazioni s’innesta
all’ansia del vivere. La struttura è di tipo narrativo, ma, nella brevità dei
versi, c’è una sorta di girone dantesco, senza uscite.
A proposito del carcere,
Ruffilli scrive: «E’ qui che, dove niente | accade, il tempo | è senza essere
mai stato, | un’attesa senza luce | e senza fine. | Solo chi sta | nel cuore
dell’inferno | sa cosa sia | l’eternità presente, | dannato nell’oscurità
| più
fonda, | un guanto rovesciato | nel suo interno.» (È
qui) E ancora : «I
giorni, i mesi e gli anni | non contano più niente: | sono parole senza senso |
rimaste appese sui giornali» (Parole). «Sei un numero adesso | senza più
persona; | tra te e il tuo dentro | qualcosa si è disciolto | ed è svanito» (Un
numero).
Dalla seconda parte del
volume, intitolata “La sete, il desiderio”, che tratta della droga, citiamo
questi versi:« Non fu curiosità | e non fu noia | la cosa che mi spinse | e mi
ha smarrito.» ( Vita tagliata ) «È
solo lei che conta | da quando | ti si ficca dentro il corpo | mettendoci radici
| che non riesci | più a estirpare | per quanto | sono scese a fondo.» (Tutto
il resto). «Vorrei lasciare | adesso, sì, l’inferno | del tempo mio perduto,
| cercare di levarmi | giù dal volo, | ma non riesco | a smettere da solo.» (Scappare).
La caratteristica di
questo poeta è rappresentata dalla partecipazione al dramma umano, dal dolore
fisico, seguito dalla morte, si passa all’alienante esperienza carceraria, vista
sia come solitudine che come riflessione sulla pena e sulla colpa. Dal carcere
si passa, successivamente, alla droga, che distrugge ogni capacità decisionale
nell’individuo. Ed è quindi la sofferenza la nota dominante della poesia di
Ruffilli.
Alfredo Giuliani, nella sua
prefazione, intitolata “Pensiero e immaginazione”, afferma che questo libro
«conduce il lettore in due territori a dir poco inconsueti per la poesia: lo
spazio concentrazionario ‘esterno’ della prigione e quello ‘interno’ della
tossicodipendenza, in entrambi i casi dietro all’ossessione della perdita di
libertà. A Ruffilli poeta interessano tutti gli aspetti della vita e in
particolare quelli segnati dalla sofferenza e dal male (il male fisico e il male
del vivere)». E continua affermando: « Nella poesia di Ruffilli accade qualcosa
che molto raramente si ritrova nell’esperienza egocentrica dei poeti […]
Ruffilli, istintivamente, mette sempre in rapporto ciò a cui dà voce con il
contesto sociale in cui si muove e parla.»
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Recensione |
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