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Cercare dentro noi stessi, concludere con il sorriso e la gioia di risolvere i problemi della depressione e del dubbio, vivere con la speranza che la lotta dentro di noi va nel verso dove vogliamo noi, non nel verso dove vogliono gli altri. La nostra interiorità è nostra, soltanto nostra, ed è di nostra esclusiva proprietà. E dentro questa nostra esclusiva proprietà, ci sono i nostri segreti che ci spingono, tutti, alla volontà di raggiungere la soluzione dei nostri affanni, delle nostre confusioni, delle nostre prese di posizione: insomma di tutte le nostre azioni.

Il sorriso e la speranza vincono le depressioni e i dubbi.

Noi cerchiamo dentro noi stessi qualcosa che ci risponda, che ci dia una risposta chiara, per dissolvere l’inquietudine che incessantemente ci scorre dentro, trasportandoci sempre più laggiù, nel problematico mondo della depressione. La depressione; il tarlo che rode le pareti del nostro cuore; la nemica incurabile e incontrollabile dell’esistenza umana. La tragedia che non si vede; il buio intorno al nostro recinto umano.

L’uomo tenta, immancabilmente, di aggirare i pericoli degli inganni e dei tradimenti, ma alla fine lui deve riconoscere che di inganni e di tradimenti non può fare a meno: loro sono i capisaldi della vita umana. Tenta di distruggerli, vuole distruggerli, prende ogni strada, ogni scorciatoia, per evitarli; eppure, alla fine, lui non ha scelta: tutte le sue più nobili e leali intenzioni sono travolte dagli inganni e dai tradimenti; sono travolti, in sintesi, dall’egoismo e dalla vanità.

Non c’è scampo: egoismo e vanità attendono dietro l’angolo il passaggio dell’uomo. Loro hanno tempo da vendere e sanno aspettare con costanza incrollabile: l’uomo prima o poi passa. Passa e loro lo ghermiscono, lo manipolano, lo rendono assuefatto al loro volere. E’ tutto terribilmente semplice, tutto terribilmente chiaro: perché nascondere la verità dell’egoismo e della vanità? Verità, che sta alla base del vivere e del morire.

Non c’è pietà per chi vuole sottrarsi a questa verità!

Dunque, perché non dirla, questa verità; perché non comunicarla al mondo; perché non metterla sotto gli occhi del mondo. Perché non tentare, rivelandola, di scompigliarla tutta, esaminarla tutta, smuoverla tutta e renderla inoffensiva. Distruggerla, insomma.

Distruggerla tutta, per l’uomo, è una lotta micidiale che si scatena dentro il suo mondo interiore con perfida insistenza, corrodendo piano piano il suo cuore. Nessuna pausa, nessun respiro, e in questa situazione lui, l’uomo, diventa schiavo della falsa umiltà, dell’indifferenza all’amore per gli uni e per gli altri: per i membri della comunità in cui vive, fino ad arrivare all’insofferenza verso i membri della propria famiglia. Da tutto ciò nascono i controsensi scaturiti dagli effetti dell’obbligo d’amore; controsensi che altro non sono che leggi capestro, capaci soltanto di rinforzare ancor più l’egoismo e la vanità. Le leggi della difficoltà del vivere insieme, dell’essere uniti insieme da un amore che crea soltanto obblighi e fastidi; le leggi della paura di sentire soffocata la propria personalità se si dona amore e se lo si riceve.

Tutto ciò crea, nell’uomo, errore, insofferenza, incertezza; tutto ciò crea voglia di fuga dai tentacoli di un amore che produce allo spirito e al cuore soltanto confusione e rabbia. Tutto ciò è una tragedia; una tragedia che si alimenta sempre più, diventando metastasi di depressione sconvolgente e distruttiva. Vivere un amore sbagliato con la persona sbagliata e rendersi conto, gradatamente, di non poter fare nulla per far vincere l’amore. Anzi, la metastasi si diffonde sempre più, tramutando insofferenza e depressione in odio e vendetta. E odio e vendetta portano, inevitabilmente, all’inganno e al tradimento.

La morte, la dolce morte dell’amore, dello scopo principe della vita, dello spazio esclusivo della gioia nell’essere umano. La tragedia – mai presa nella dovuta considerazione – di vedersi distruggere l’attimo di vita e non poter farci nulla; di vedersi distruggere quell’attimo unico e irripetibile. La tragedia del vivere assieme da perfetti sconosciuti e non solo; di vivere assieme con odio e fastidio, senza uscita di sicurezza, senza la pur minima comprensione, senza il pur minimo calore. L’impossibilità del convivere assieme e del continuare a vivere assieme; l’inutilità di fare ogni cosa assieme, di tentare di catturare lo scopo del vivere stesso, assieme e non, dissolvendo così il grande bagaglio delle esperienze del passato e mettendo in campo le paure del presente e del futuro.

Graffi indelebili sulle pareti del mondo interiore dell’uomo.

Tutto ciò è catastrofe? Parrebbe di sì. Eppure il cuore dell’uomo non ha mai fine e dove c’è la fine inizia, infallibilmente, il segreto di un mistero; e il mistero è l’esistenza dello spirito che circonda le pareti del cuore.

E’ una certezza. E’ una infallibile certezza. E’ una incrollabile soluzione, una speranza che prende forma e si concretizza: sempre! Non ci sono incertezze di fede, né dubbi, né paure, né segreti di vanità e di inganni. Tutto scorre con la velocità della luce, e lo spirito cattura la luce fino a renderla certezza. Le ombre dell’inganno e del tradimento non hanno più motivo di esistere: la luce dello spirito distrugge – se l’uomo è disposto a credere nello spirito – inganni, tradimenti, egoismi e vanità.

° ° °

“Vicino a mio padre provavo una sensazione di freddo; vicino a Monsieur Ibrahim (e alle puttane), un calore, una luce”. Poche righe ed è tutto Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano di Eric-Emmanuel Schmitt. La tragedia di vivere con un cuore non circondato dallo spirito; la gioia di vivere con un cuore circondato dallo spirito. L’impossibilità di trasmettere calore e di riceverlo; la grande gioia di poter vivere accanto a un essere umano che sa trasmettere vera umanità, vera certezza di luce, vera luce che rischiara e scalda. – Una gamba verso l’ingresso e l’altra sui fiammiferi… grembiule grigio su camicia bianca, denti d’avorio, baffi ispidi, occhi pistacchio, verdi e marrone, pelle scura… un saggio -. Monsieur Ibrahim, chiamato in rue Bleue l’arabo che parla poco e sorride molto. Un uomo, un droghiere, che non si agita mai. Quest’uomo legge dentro i pensieri di Mosè, il ragazzo, chiamato da Monsieur Ibrahim, Momo… ti chiamo Momo, perché è un nome meno impegnativo…. La loro conoscenza avviene nella drogheria di Monsieur Ibrahim, l’arabo che arabo non è, perché l’uomo viene dalla Mezzaluna d’Oro, una regione che va dall’Anatolia alla Persia. Monsieur Ibrahim è un musulmano, con i fiori esclusivi del suo esclusivo Corano dentro il cuore. L’amicizia tra Monsieur Ibrahim e Mosè inizia quando il droghiere rivela al ragazzo quante scatolette di paté e altro gli ha sempre rubato.

Mosè abita con il padre che gli insegna a guardare il prossimo e tutto il resto con diffidenza, senza sorridere mai. Diffidenza e nessun sorriso: gli insegnamenti di un padre che dove tocca distrugge. Nella biblioteca di famiglia i libri – tutti i libri della biblioteca – sono i nemici della quintessenza dello spirito; sono un elenco di leggi aride e buie; sono sottigliezze della filosofia; sono la “scienza” che tramanda il freddo del Polo Nord e l’aridità dei deserti arabici. Sono luci di lampadario; coscienza giallognola, pronta a ridurre in polvere ogni atto di umanità.

La follia del freddo polare e della polvere desertica distrugge ogni attimo di sorriso.

Ma Mosè si toglie da questa follia, aggrappandosi all’insegnamento di Monsieur Ibrahim: sorridi a tutti, anche a tuo padre. Ebbene, tutti accolgono il sorriso di Mosè con benevolenza, come atto di apertura di cuore; il padre, invece, prima s’insospettisce, poi gli dice: “Bisognerà metterti un apparecchio in bocca, non mi ero mai accorto che hai i denti in fuori”.

La follia del freddo e della polvere del deserto.

E qui nascono i fiori del Corano di Monsieur Ibrahim (naturalmente adattabili a ogni essere umano). Perché questi fiori? Perché è su questi fiori che si appoggia la vita dell’uomo; e poi, questi fiori annientano gli inganni, i tradimenti, gli egoismi e le vanità. Questi fiori dissolvono tutte le depressioni umane sparse in tutto l’universo; questi fiori abitano il grande giardino dell’esistenza umana, e in questo giardino ogni uomo – vecchio o giovane, di cultura o di non cultura, povero o ricco, forte o ridotto all’osso con i muscoli afflosciati – può raccogliere i fiori del Corano ed essere certo di riuscire a conoscere se stesso fino in fondo. Non è sempre facile trovarli, questi fiori; loro nascono dal tumulto dell’interiorità umana; loro non hanno sempre un senso comune e cozzano anche – e spesso – contro il senso comune. Sì, non è facile trovarli; non è facile raccoglierli; non è facile accettarli. Fiori stracciati dalle tempeste, fiori che non hanno profumo e lasciano un segno incancellabile sul carattere dell’uomo.

Fiori che danno una risposta a tutti i perché dell’esistenza umana e nascono nel grande prato delle apparenti illogicità. Noi, adesso, andiamo a raccogliere i fiori del Corano di Monsieur Ibrahim, mettendoci al fianco di Eric-Emmanuel Schmitt.

Primo fiore. Il padre di Mosè pensa di mettere un apparecchio in bocca al figlio quando lo vede sorridergli. Monsieur Ibrahim, al contrario, dice a Mosè: “Non hai bisogno di nessun apparecchio, Momo. Chi ti crederebbe in rue de Paradis (la via delle professioniste del sesso) con la ferraglia in bocca?”.

Il fiore della libertà, al di sopra dell’arida grettezza e della mancanza di spirito.

Secondo fiore. Mosè chiede a Monsieur Ibrahim di come si fa ad essere felici. “Mettere in pratica la riservatezza della nostra religione interiore” gli risponde Monsieur Ibrahim. Poi il droghiere spiega a Mosè: “La religione della nostra interiorità è nostra, esclusivamente nostra, intoccabilmente nostra. Cosa vuol dire per te, per esempio, essere ebreo?”. Subito Mosè dice: “Non lo so”. Poi spiega: “ Per mio padre essere ebreo significa essere depresso tutto il giorno. Per me, essere ebreo è essere una cosa che mi impedisce di essere un’altra”.

Il fiore del tentativo di conoscere se stessi, per poter entrare in ogni mondo, in ogni essere umano.

Terzo fiore. “Sì, quello che c’è nel mio Corano” dice Monsieur Ibrahim a Mosè. “Tutto si sa parlando con qualcuno. Tutti possiedono dentro un Corano e tutti – se gli sai parlare – ti svelano i segreti del Corano che si tengono dentro. La conoscenza del mondo sta dentro il Corano di ognuno di noi (il problema è che molti il loro Corano interiore lo ignorano completamente). D’altronde l’uomo, a cui Dio non ha rivelato la via direttamente, non troverà certo la rivelazione in un qualsiasi libro o mezzo di comunicazione. La conoscenza di se stesso, l’uomo la troverà nel cuore e ogni uomo di cuore ne possiede uno. Dunque…”.

Il fiore del cuore umano. Ogni problema, ogni perplessità, ogni dubbio, ogni ombra… ogni cosa è risolta dal cuore.

Quarto fiore. “Dov’è la bellezza, Monsieur Ibrahim?” chiede Mosè. “Dappertutto, Momo. La bellezza è scritta nel nostro cuore; la bellezza è nel nostro cuore perché la bellezza è amore”. Poi Monsieur Ibrahim tranquillizza Mosè perché rifiutato dalla ragazza che ama. “Vedi, Momo” gli dice, “anche se tu sei respinto da Myriam, non fa niente. Il tuo amore per lei è tuo, e il tuo amore è la bellezza che sta nel tuo cuore, e ciò che il tuo cuore dà è tuo, per la vita”.

Voltando pagina, ma restando nel tema della bellezza nel cuore, Monsieur Ibrahim puntualizza a Mosè: “A volte tu mi chiedi e io non ti rispondo. Ebbene, Momo, non è che il mio cuore non vuole risponderti, è che spesso anche nessuna risposta può essere una risposta. Dunque, anche nessuna risposta è bellezza ed è la bellezza più bella: è la bellezza del silenzio”.

Il fiore della bellezza, dell’amore e del silenzio.

Quinto fiore. “Il segreto della felicità è la lentezza” dice Monsieur Ibrahim. “Ho lavorato molto ma lentamente. Lentamente non vuol dire pigramente, con indifferenza, con distacco: tanto per lavorare! Lentamente vuol dire con costanza, con ostinazione, senza paura e con respiro. Lentamente vuol dire senza egoismo, senza avarizia, senza disonestà. Lentamente, per poter offrire a tutti un attimo di pausa, una goccia di sorriso”.

Il fiore del rispetto per le necessità del prossimo.

Sesto fiore. La danza. Danzare, girando intorno a se stessi, come fanno i monaci dei tekkè. Trottole che girano intorno al proprio cuore; trottole che perdono, girando intorno a se stesse, la pesantezza dello sforzo di ottenere un proprio equilibrio interiore. Danzando e girando, si perde ogni agitazione, ogni odio, ogni risentimento. Ballare, danzare, girare su se stessi sul tallone, alla ricerca della propria identità; di ciò che si vuole realmente essere; di ciò che si è realmente. Alla ricerca del proprio mare da cui si è venuti; alla ricerca del mondo senza fine e senza confini, dentro il quale c’è quel mare che ci ha generato.

Il fiore della ricerca della nostra identità.

Settimo fiore. Avere avuto tutto dalla vita; aver vissuto senza difficoltà, possedendo amore, amicizia, coraggio e umanità. Aver avuto il coraggio e l’equilibrio di vincere le impulsività, i sentimenti contrari estremi, le emozioni contrarie incontrollabili; aver avuto il coraggio di guardare dentro le maschere delle mille facce nascoste, dei mille controsensi, delle mille trasformazioni e controfigure. Aver avuto la fortuna di non essere stati – e di non essere – mai soli; di saper comunicare il proprio coraggio, la propria chiarezza interiore, l’amore e l’amicizia. Vivere, privandosi della pesantezza del proprio corpo; vivificando il cuore; vivificando ciò che è assente, per prepararsi a vivere nel mondo di una vita futura. Vivere per annientare la passione, per produrre l’intenzione, per trovare la forza di ridere e di donare.

Il fiore della determinazione incondizionata.

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Fiori del Corano di Monsieur Ibrahim, fiori del Corano di ogni uomo, fiori che affrontano l’impossibile e lottano pari pari con l’impossibile, vincendolo infine. Dentro il Corano di Monsieur Ibrahim, lasciato dal musulmano in eredità a Mosè, il ragazzo ebreo non trova altro che pagine bianche; pagine bianche e soltanto due fiori secchi che si adagiano su una lettera di Abdullah, l’amico fraterno di Monsieur Ibrahim. Soltanto due fiori secchi e una lettera scritta con tanta sincera amicizia. Sulle pagine bianche di questo Corano ognuno di noi può scrivere la sua propria vera vita. Può scrivere l’amore, il dolore, la gioia, la tragedia dei dubbi e delle passioni; può scrivere tutti i baratri, le paure, gli errori. Infine – ed è ciò che conta - , può scrivere la vittoria finale dell’uomo su tutti i baratri, su tutte le paure, su tutti gli errori. Pagine bianche scritte da ogni uomo; il Corano di ogni uomo; il percorso terreno di ogni uomo scritto sulle corolle dei “fiori del Corano”.
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