| |
Sembra impossibile come nella rigidità metrica dell’haiku possa palpitare
tanta vita.
Eppure questo accade nello scrigno poetico che Filippo Giordano ci ha
regalato.
In pregnanti sinestesie ecco la terra, allegoria del corpo femminile, la
madre Gea, solcata e fecondata (“Vomere solca”) stillare dai seni turgidi
(“Monti e colline”) e ormai umida e nutrita, nutrire a sua volta (cfr. “Dlen
dlen di vacca”).
Nelle liriche di Giordano un avvicendarsi di stagioni che emergono
vivide fresche, saporose (Squarotti) come nelle raffigurazioni pittoriche
: la primavera di Ermes, con corone di mandorli e peschi in fiore, e le
immancabili api; l’estate, consacrata al dio solare Apollo, con covoni di grano
e falce; l’autunno, mese di Dioniso, il dio delle vendemmie, con pampini e
tralci; l’inverno di Efesto, il dio dell’arte del fuoco e dei metalli, con
focolari che portano la calda notizia di una nascita inattesa (“dal Nord
arriva”) ma anche fiocchi di neve.
Il succedersi delle stagioni, come le varie fasi della luna, scandiscono
il ciclo della vita: nascita, formazione, maturità e declino. Così
nel prezioso volumetto di Giordano, alternanza ciclica ma anche continuo
ricominciamento, come solo la forza della parola poetica sa operare.
| |
 |
Recensione |
|