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Con la prosa di Paolo Ruffilli, che si cimenta ora in un romanzo storico, L'isola e il sogno, dopo i due libri di racconti Preparativi per la partenza, edito da Marsilio nel 2003, ed Un'altra vita, edito da Fazi nel 2010, siamo già nei canoni del futuro, perché vi sono i pregi inestimabili degli scrittori di lingua spagnola o portoghese che hanno ricevuto il Nobel alla fine de 900; in apparenza manca la tortuosa ironia di Borges, ma forse, questo è oggi un pregio perché i tempi sono confusi e così abissali nel vortice del male che ci travolge da ogni lato, che non c'è proprio alcunché su cui ironizzare di proposito, semmai, i veri scrittori che narrano, osservando, si lasciano prendere dalla fantasia e dall'estro e l'ironia si fa dramma alla maniera di Pirandello in Così è se vi pare o alla maniera di Shakespeare, cioè tragicamente. Nel periodo descritto, cioè intorno al 1861, la situazione del nostro meridione era abbastanza drammatica, direi anzi tragica, sia per l'ignoranza e la miseria del popolo sia per l'ambiguità dei comportamenti di alcuni signorotti, per dirla con Manzoni, privi di lealtà e di legalità.

L'isola e il sogno si legge quasi tutto d'un fiato, perché la storia d'Italia e dell'intervento di Garibaldi la conosciamo tutti e, quindi, il fatto potrebbe sembrare scontato per lo sprovveduto che si accinge alla lettura, magari con un non so che di noia, perché si dirà “tanto si conosce la conclusione dei fatti”. La descrizione di tali fatti, invece, avviene in modo moderno ed accattivante, anche se con modalità romantiche, poiché il terra della narrazione si concentra sull'amore d'Ippolito per la cugina Bice, amore forte e trascinante, ma che non dovrà essere consumato per un tacito patto fra i due cugini e per un senso di onestà e di rispetto verso il marito della donna, che è pure amico del nostro protagonista. Questi si costruisce così una doppia vita grazie agli amori carnali che vive con due donne nella città incantata che è la Palermo di allora.

Rivediamo la “Palermo del sogno” e dei palmizi che ancora riempiono la città di fascino e di una bellezza che, ahinoi, ora si vanno perdendo per l'inquinamento ed altro ancora. Ippolito vive un amore-odio per questa città che a tratti lo tiene prigioniero e dalla quale poi vorrebbe fuggire: detto così sembrerebbe una banalità che da sempre si avverte per la città bella dove si vive e che poi si vorrebbe lasciare. Ma Palermo è la metafora della libertà e la lontananza dalla madre, che gli ricorda la situazione ambigua ed infelice in cui si dibatte. insieme al ricordo di Bice diventano sentimenti così struggenti che Ippolito riaffronterebbe il mare in tempesta per rivederle, poiché i due sentimenti, diversi e contrastanti, lo legano in modo doloroso sia alla sua terra d'origine che alle due donne.

Ma il legume forte e tormentato per la cugina Bice è sincero e totale per Ippolito, mentre oserei dire che per Bice il sentimento sia quasi sadico, poiché sembra ella nutrirsi della sofferenza del cugino, e talvolta l'amore di Nievo ci ricorda l'amore di Petrarca per Laura. Ma nel Canzoniere il verseggiare continuo e martellante placa l'ansia del poeta, che poi vive la propria vita, avendo pure dei figli illegittimi, che gli riempiranno l'esistenza segretamente, com'era costume del tempo.

Qui, per il nostro eroe, il tormento è totale e neppure l'amore per la misteriosa donna che lo sedurrò, dapprima osservandolo attraverso una finestra velata da spessi tendaggi e poi fattasi viva nel modo che il lettore scoprirà, placheranno la sua ossessione per la cugina.

Questo romanzo rappresenta per Ruffilli l'evoluzione necessaria della sua fantasia: la realtà storica vista attraverso la vita di Ippolito Nievo, ed il sogno che ne avvolge i fatti pubblici e privati del 1861, iniziò dall'Italia come Stato unitario. L'Autore, pur restando spettatore attento, alla maniera di Pirandello che sembra partecipare ma sempre con distacco all'ineluttabile sofferenza dei suoi personaggi, andrà oltre, attanagliando l'attenzione del lettore più distratto perché il suo stile è più autentico, ma pure attento alle tortuosità dell'animo umano.

È un con ampio respiro che l'autore descrive la situazione del sud dell'Italia, Palermo in particolare: innanzi ai rigurgiti borbonici del 2011, anno di festeggiamenti per i 150 anni dell'Unità d'Italia, ci si chiede cosa saremmo diventati se la storia si fosse fermata a quella dinastia. Le donne in modo particolare non avrebbero avuto neppure quel minimo di libertà, di cui hanno usufruito gradualmente, anzi ora si riscoprono opere dell'ottocento e personaggi che ci fanno riflettere: si ricorda in proposito il poemetto. leggendario ma in parte veritiero, scritto in dialetto siciliano da Alessio Di Giovanni, dal titolo al femminile Zà Francischedda, al secolo Francesca Pitringa, uccisa dai soldati borbonici perché non aveva voluto rivelare di aver nascosto in casa un garibaldino, fosse il Mosto o il Rivalta. La popolana aveva visto in Garibaldi il santo liberatore, fantasia di leggenda si potrà dire superficialmente, ma anche saggia intuizione di una donna priva di ogni comodità ed analfabeta, che aveva compreso, più degli ottusi opulenti, che la storia non può ristagnarsi nei vecchi privilegi.

Ho avuto modo di ascoltare i versi di questo poemetto dalla viva voce di un appassionato cultore di storia siciliana, nonché poeta e saggista, Vittorio Riera, in occasione delle festività per i 150 anni dell'Unità d'Italia in coincidenza con la Giornata mondiale della poesia – 21 Marzo – presso l'Archivio storico della Biblioteca comunale di Palermo.

Il romanzo di Ruffilli, insinuandosi efficacemente fra tutti questi eventi, ci regala gli scenari più inquietanti della realtà palermitana, e siciliana naturalmente, della seconda meta del secolo XIX, riportandoci dentro uno spaccato di verità e sogno che soltanto un romanzo storico, alla maniera di Manzoni. sotto certi aspetti può rappresentare, calando i fatti personali nella storia, ma in modo più moderno, alla maniera di Tomasi di Lampedusa de Il Gattopardo, cioè intrecciando armoniosamente pubblico e privato attraverso una narrazione poeticamente insolita per i tempi superficiali che viviamo, ma nello stesso tempo con una visione aperta ai comportamenti direi contemporanei, nel bene e nel male, che il Sud ed il Nord dell'Italia di oggi, in egual misura, ma non in egual modo, ci hanno tramandato.

Tutti siamo a conoscenza dell'aiuto sotterraneo che gli Inglesi ed i Piemontesi concessero per l'impresa garibaldina, ma soltanto così la storia non si è fermata pericolosamente in quel guado che poteva diventare il sud Italia. I detrattori dell'impresa “spericolata” affermano che le diversità fra Nord e Sud non si sono colmate, né si colmeranno facilmente nel corso dei secoli, ma si torna a ribadire che senza quei pochi coraggiosi, che andarono pure incontro alla morte, compreso il nostro eroe Ippolito, neppure l'Italia di oggi esisterebbe.

Quindi l'immagine del naufrago si fa reale ed il Nievo, che soggiorna a Palermo per servire lo Stato appena nato con l'incarico di “Sovrintendente”, trova nell'isola ed in particolare nella città “capitale” l'humus per i suoi sogni di “patria e d'amore, di giustizia e libertà”, in altre parole sogni romantici; ma è con questi sogni che si fa pure la storia, che si evolve anche attraverso la sofferenza delle masse, private di quel poco che la pace garantirebbe.

Con L'isola e il sogno, Ruffilli si cimenta con argomenti insoliti per il suo mondo, direi più vicino agli autori francesi di fine novecento, sia riguardo a Preparativi per la partenza, sia in merito a Un'altra vita.

In riferimento al 2010. sarebbe opportuno consultare “Arenaria. Ragguagli di letteratura” – quattro, Ila Palma Editore – a cura di Lucio Zinna pagg. 102-104 e pag. 113.

Tutte le opere di Ruffilli, sia in prosa che in poesia, si collocano a pieno titolo nello scenario della letteratura italiana contemporanea per lo stile inconfondibile che fa anche da guida, alla fine del 900 e oltre, a quanti si muovono nel mondo della scrittura in generale e della poesia in particolare: in proposito restano le note di G. Raboni per la silloge Camera oscura (Garzanti 1992).

Fra la prosa di Paolo Ruffilli e la sua poesia esiste un'affascinante simbiosi: le considerazioni sulla Palermo del 1861 ricordano le poesie di Anna De Noailles, nobile poetessa parigina, stimata dal suoi contemporanei ed anche dal nostro D'Annunzio; a proposito della Palermo di fine ottocento, scrive: “ho conosciuto la piena bellezza / il nobile, calmo splendore / della luce, pura e immensa / a Palermo, villa Tasca ... Il turbine dei vostri monumenti / belli come tiare di pietra. / gli alti cipressi del cimiteri, / a sera, la morbida luce sulle tombe voluttuose / ... il lungomare di gesso dove le botteghe ... sfoggiano la nobiltà antica / dello splendente alfabeto del greci ...”

Si riporta, dal romanzo del Nostro a pag 129: “Il Duomo di Palermo magnifico edificio del XII, architettura per metà normanna e per l'altra saracena ... Impreziosito e lavorato come fosse un ricamo di marmi. i più pregiati ...  A piacergli era l'esterno: l'ornatissimo portale e le tre absidi, gli archi intrecciati e la decorazione delle pietre a intarsio. Gli ricordava un grosso dolce carico di glassa e mandorle, la fetta di una torta da leccare prima di infilarsela in bocca masticandola tra i denti. Grandioso monumento, la guida compiaciuta ripeteva ...”

I monumenti di Palermo sono descritti con pagine succose da gustare insieme a tante, tante altre descrizioni di situazioni e di persone, dove le donne spadroneggiano dolcemente con grazia e sensualità.

Scorrono, sempre incalzanti, i fatti narrati e si ha l'impressione di ascoltare la voce di Ippolito nelle situazioni più variegate e direi più estreme per le apparenti contraddizioni, sia nella vita pubblica che privata: un denominatore comune, la sensibilità e l'integrità dell'uomo Ippolito che, pur nei suoi contrasti amorosi voluti dal destino, non perde mai di vista la sua missione di uomo che deve far giustizia nelle ingarbugliate carte degli uffici quasi abbandonati a se stessi nella città di Palermo, incantata e misteriosa, immobile fra le maglie della storia.

Si ha l'impressione, nella tragica scena finale, che Ruffilli fosse stato presente nella traversata mortale e nelle campagne coi garibaldini “guerriglie ... assalti disperati, c'erano i volontari che giacevano stanchi ... i feriti e pur essendo tutti insieme ognuno stava per conto suo ...” e nella tragica traversata, “rollio dei motori mentre la nave si coricava su di un fianco”.

Si fondono nella mente di Ippolito, che sta per affrontare la morte, gli avvenimenti che gli avevano dilaniato la vita.

È difficile raffigurare la morte: L'Autore è riuscito a descriverne un aspetto attraverso un frammento della realtà che si dissolve senza lasciare in chi legge l'angoscia che noi definiamo mortale, perché ha usato espressioni sintetiche al massimo, alla sua maniera, come qualcosa che intravedeva: “figure e forme note eppure un mondo sconosciuto che lo attirava e vi si abbandonò tranquillo”.

La vita intensa e ricca di sentimenti di Ippolito Nievo sembra così avviarsi all'immortalità: storia e fantasia si fondono nella narrazione letteraria, in modo conciso, e ci restano nella mente soltanto le azioni coraggiose di qualcuno che avrebbe voluto operare per un monde più giusto. Ma ciò si conquisterà con sacrifici immensi e con sofferenze inaudite che noi ora conosciamo, alla luce talvolta sinistra della storia, ma che Ippolito aveva intuito, oserei dire, con cosciente rassegnazione ed anche con una speranza sovrumana, che va oltre la stessa morte: qualcuno avrebbe continuato la sua opera di uomo probo e leale.

Tra le opere di Ruffilli. voglio anche ricordare La gioia e il lutto, poema coraggioso e fuori dagli schemi convenzionali eppure cosi classico nella struttura e nella impostazione da non assomigliare che a se stesso, sintetico e tragico, adatto al futuro che ci incalza con prospettive offuscate per il presente che pare dissolversi; l'autore, con le sue opere che si susseguono con ritmo serrato, sembra far da testimone, immobile come uno scultore innanzi alla sua opera pietrificata. Negli scritti di Ruffilli si celano le correnti letterarie più interessanti e di prestigio: vi è l'acutezza dell'indagine psicologica, si veda il già citato Preparativi per la partenza, e la riflessione del saggio filosofo senza tempo nel già ricordato Un'altra vita, il custode della tradizione scarna e sottile che non subirà l'usura destinata a tutto ciò che è superfluo e privo di arte e bellezza, a cominciare da Piccola colazione, un libro del 1987 di impostazione esistenzialista, ma in versione più “nostra”. essendo i toni più umani, non alla maniera di Sartre, sadico nel vedere l'inferno della vita degli altri.

Ruffilli, invece, penetra nel tessuto narrativo e comprende il dramma umano, pur restando spettatore attento.

C'è una frase di Giuliani nella prefazione de Le stanze del cielo che illumina la mia indagine a proposito del romanzo L'isola e il sogno: “Ruffilli mette in rapporto ciò a cui dà voce con il contesto sociale in cui si muove e parla. E può darsi che sia l'effetto dell'inclinazione narrativa sulla sua vocazione di poeta”. In questa frase di Giuliani c'è la chiave dell'originalità e della perfetta fusione delle opere in prosa e delle sillogi. dove si narra sempre una storia di chi non ha voce: il drogato, il malato, il carcerato, le donne. Tutte queste persone, tuttavia, non sembrano vivere fuori dal loro mondo, anzi sono inserite come tacita denuncia del male, che tutti viviamo dalle forme più semplici alle più complesse.

L'isola e il sogno è intriso delle tematiche affrontate da Ruffilli in tutti i suoi scritti: qui, attraverso la ricostruzione storico-fantastica, inserendosi con discrezione e fermezza con esiti accattivanti e pieni di fascino, dà un contributo morale e letterario all'anniversario dei “150 anni dell'Unità d'Italia”.

Riporto, a modo di conclusione, una frase dello stesso autore. Siamo a pagina 195: “Tutto è rigorosamente autentico, tutto è rigorosamente immaginato”, ed aggiungo, con estrema ed amara ironia. a proposito della line di Ippolito, altra metafora per il nostro sud e per i giusti in generale ... “soltanto le cose ed il mare espressero tutta la loro violenza che se ne stava, sopita, nelle viscere del :globo terrestre”.

Recensione
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