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Prima d'iniziare la lettura dell'ultimo libro di racconti di Paolo Ruffilli Un'altra vita, ho ripreso il precedente Preparativi per la partenza (Marsilio 2003), che costituisce quasi una naturale premessa alle storie del libro sul quale mi soffermerò. I racconti di P. Ruffilli hanno un raro pregio che può sfuggire sia ad una lettura affrettata sia ad un recensore con intenti autolatri, essendo il nostro un "grande" appartato (soltanto una volta accendendo la tv per caso, ho visto il presidente Napolitano che lo premiava come poeta e scrittore di valore), usa un linguaggio semplice in apparenza ma che poi ci porta a ripetute letture per carpire l'anima della narrazione che si nasconde spesso fra rocce e distese di paesaggi che l'autore ci descrive con disarmante verità. La scrittura di Ruffilli, a mio avviso, resterà inattaccabile dall'usura del tempo: non appartiene infatti all'oggi ne all'ieri , ma oserei dire che fa già parte del futuro perché il nostro autore ferma miracolosamente sulla carta con poche frasi ciò che altri dicono con capitoli interminabili, che poi nessuno riesce a leggere fino in fondo: una prosa poetica quindi, ma non leziosa come i tanti sprovveduti intendono tale forma di scrittura, che nel nostro diventa forte, inattaccabile, come ritagliata da un bisturi da chirurgo sulla carta come fosse la pelle di un essere vivente, in quanto poi in realtà rispetta ciò che profondamente umano: purtroppo nel sottobosco della cultura prolificano romanzi, racconti, e peggio, poesie che tali non sono. Tali scritture che riempiono pagine e pagine poi non riescono ad attanagliare neppure l'attenzione del lettore normale, quello che si contenta di farsi intrattenere, senza l'impiccio di dover riflettere, per evadere, solo per evadere...

Ruffilli compie un'operazione inversa: si è immerso lui stesso nel contemporaneo per evadere da se stesso, come un lettore apparentemente superficiale, cercando altre vite nascoste, e le trova, studiandole poi come un esperto psicanalista; dedica inoltre i 20 racconti ad altrettanti scrittori del '900 come a volere aprire un colloquio con essi, nell'intento di poter dire: purtroppo le cose stanno così, all'apparenza come sempre nella storia dell'uomo, solo che ora tutti vogliono fuggire da se stessi, come quei turisti amanti dell'esotico che passano da una vacanza all'altra restando sempre insoddisfatti e all'oscuro della "Verità".

Ruffilli parla, in questi suoi racconti, di fughe-partenze, ricostruzioni di mondi privati impossibili, sembrando storie comuni in apparenza, ma poi in realtà, racchiudono il dramma, direi la tragedia dell'incomunicabilità umana, superata ingannevolmente attraverso l'amore imprevisto ed imprevedibile; ogni racconto racchiude una storia così densa che ci uscirebbe un romanzo, ma Ruffilli è lo scrittore delle forme chiuse, inimitabile, così come lo è la sua poesia! Le sue costruzioni fantastiche riescono ad attanagliare tutti i tipi di lettori, dai semplici ai complessi, poiché avviene una sorta di quadratura del cerchio, e dentro cui chi legge resta benevolmente intrappolato, arricchito, come se avesse fatto un percorso terapeutico in un lettino di uno psicanalista.

Riporto alcune frasi tratte dalla prefazione di Alfredo Giuliani per Le stanze del cielo, poesie del 2008 di Paolo Ruffilli (Marsilio): "A Ruffilli poeta interessano tutti gli aspetti della vita ed in particolare quelli segnati dalla sofferenza e dal male. E per misurarsi con il Male, usa i suoi mezzi di sempre: il passo felpato, un partecipe distacco, la contabilità sommessa... Meno che mai si arrende di fronte all'ipocrisia, alle paure ed all'odio infinito che la società riversa sui suoi reprobi": ciò, a mio avviso vale anche per la sua prosa, infatti nei precedenti racconti Preparativi per la partenza, esaminava con altra tattica le vite umane in perenne sospensione, sempre pronte per un altrove che poi risultava ingannevole. Nei racconti di Un'altra vita, si ha l'illusione costruita con ragionamento, direi tutto suo, anche se in apparenza pirandelliano, di una certezza che può dare solo l'amore, ma i pensieri dei protagonisti chiusi come in scatole cinesi o matriosche, si distruggono uscendo dalla mente. L'universo femminile si evidenzia nella moderna forza che è poi fragilità, ma spesso è l'uomo che soccombe nel gioco dei sentimenti, e delle attrazioni vere o illusorie che siano.

Ogni racconto di Ruffilli meriterebbe un discorso particolare ma lascio ai lettori la gioia di scoprirne lo spessore artistico: infatti in ognuno si racchiudono mille risvolti che potrebbero diventare altrettanti romanzi, come su detto, ma lo stile e la scrittura di questo autore trovano il loro compimento nei racconti che impariamo a gustare sia per la forma che si fa ancora più elegante e stringata, sia per la prerogativa di questo scrittore che meriterebbe maggiore attenzione da parte di quella critica ufficiale, che spesso si perde appresso a libri di scarso spessore culturale per la cieca obbedienza al potere corrente.

Non posso però esimermi dal fare qualche osservazione a proposito del primo racconto "La locanda Irlandese" dedicato a Joyce, dove Ruffilli lega con armonia il metodo comunicativo del monologo interiore con quello più disgregato del flusso di coscienza, dando vita al nuovo modo di elargire al lettore quella conoscenza dell'interiorità umana, che nello stesso tempo si espone a forme più avanzate di spregiudicatezza della narrazione contemporanea, alla quale poi l'autore Ruffilli si sottrae con una chiusa dei fatti narrati che ci lasciano quasi smarriti e oserei dire con il famoso: "Cosi e se vi pare" di pirandelliana memoria.

Mi è ancora spontaneo accostare la storia della "Locanda Irlandese" all'ultima storia di Camilleri, "La caccia al tesoro" uscita simultanea a questo libro di Paolo Ruffilli. La tematica della superstizione diventa un delitto da scoprire per l'autore Camilleri che tanta fortuna ha avuto con la serie televisiva che gira tutt'attorno alla figura del commissario Moltalbano, reso in verità celebre dal bravo attore Zingaretti. Nello stile della narrazione di Ruffilli la superstizione si concentra in poche frasi illuminanti della protagonista, vittima delle sue estreme manie religiose, che portano chi legge al sorriso ironico, per il comportamento strambo e nello stesso tempo furbesco della donna, che, attraverso il rituale superstizioso del pentimento, si illude di scaricarsi la coscienza dalla colpa d'amore. Camilleri, della superstizione fa un giallo con caccia al tesoro, testa di capretto inviata a Montalbano, secondo le tracce di una strana poesia, invece Ruffilli della superstizione si serve per una succosa narrazione breve ma esauriente.

Forse in futuro anche l'autore Ruffilli, per la gioia dei suoi lettori, potrebbe inventarsi un colpevole ed un assassino ed altre figure di donne: ma sono quasi certa che i suoi personaggi di fantasia non sarebbero noiosi e ripetitivi ma elegantemente e realmente verosimili, sia per la forma, sia per i colpi di scena più. interessanti. Quindi mentre Camilleri, anche divertendoci, usa una lingua dialettale non veramente siciliana ma quasi romanesca in certi usi verbali (restano soltanto le parolacce messe lì per accattivarsi i lettori), Ruffilli costruirebbe i suoi gialli alla sua maniera artisticamente nota: i suoi personaggi non risentirebbero dell'usura del tempo, muovendosi in uno spazio atemporale, come tutti quelli dei venti racconti di un'altra vita, ma la storia del giallo, che mi auguro verrà, sarebbe dedicata ad Edgar Allan Poe.

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