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Quando la solitudine si fa cantoAnnamaria Cielo, poeta, scrittrice e critico letterario, con questa SOLITUDO è al suo ottavo libro di poesie in un percorso di tutto rispetto e affascinante nella costante ricerca della potenzialità della parola e della musica in essa racchiusa. Si assiste così all’incanto dei versi, che sbocciano da fonte limpida e sicura per trasmettere vibrazioni di vita e essenzialità di pensiero.
Nella raccolta prevale la figura del padre “Radice di rigore e vigore. / Pane della riflessione.” Forse proprio dal padre scomparso quando lei era adolescente, e perciò fermato con sguardo trasognato e puro, nasce la solitudine esistenziale dell’autrice, solitudine che, via via, proprio perché custodita quasi gelosamente dentro di sé, diviene frutto maturo. “ E da un seme inghiottiamo la vita”. Lascia il segno il termine “inghiottire”, interpretabile anche al negativo nel senso di tenere la vita dentro di sé, non viverla appieno al presente, perché è consolante conservarsi bambini nel cuore. Infatti: “È un posto da grandi la paura!”. Grande in Annamaria la capacità di sintetizzare in pochi versi, quasi un flash, il ricordo del padre: “Posava due mele renette / sopra il mobile da letto. // Entrava nel profumo / e si piegava al sonno.”. Oppure, ricordando anche la madre: “Da un punto impaziente nella siepe, / attenta al loro bacio di piuma lenta, / stavo dove nascevo”. “Caro re dei miei anni!”, chiama così il padre, ... dei miei anni, si noti, al presente e non al passato. Il padre, dunque, come punto fermo che si porta a spasso insieme alla bambina la donna di ora. Bellissima la poesia dove vengono riportati alcuni versi del Credo del Samurai, a cui seguono i versi finali di Annamaria: “Poi il mutare in sempre il Sonno. / Non avevo spada per difenderti!” In quasi tutta la raccolta si respira purezza, quell’aria di neve tanto cara all’autrice; si coglie il valore della meditazione, la magia del silenzio, lo scavo profondo nelle vibrazioni dell’animo, se questi sono forieri di fantasia creativa, di atmosfere fiabesche è perché la SOLITUDO può trasformarsi in compagna fedele e consolatrice, in amante silenziosa, in vestale del sogno... “ La solitudine si sgranava in fiocchi / e un vento la portava.”
Annamaria Cielo, in questa raccolta, a mio parere, ha saputo svelare in modo perfetto la propria anima, pur difendendola in coltre di neve, ha saputo denudarsi denunciando il proprio sentire in metafore trascinanti, a volte cariche di mistero: “ Verrà la pioggia dove legare i cavalli, / verrà il vento e ci perderemo.” Annamaria Cielo, nella SOLITUDO insegue una rotta, tesa verso un approdo di terra vergine, verso un nido di nuvole e stelle alla sorgente dell’umano sentire. Sa benissimo che non può comandare i venti, la danza dei fiocchi di neve, sa anche che può trovare sbarrate le porte immaginarie delle fiabe. Tiene però fieramente lei la chiave della propria vita interiore, nel palmo aperto il seme della speranza, nell’animo la consapevolezza del proprio canto poetico.
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