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Il balcone dei pazzi
Memoria e ironia in Carmelo Pirrera
Ne il balcone dei pazzi, che esce per i
tipi dell’Editore Intilla (Me, 2007), Carmelo Pirrera raccoglie, un po’ in
ordine sparso, quarantuno racconti. E il loro accorpamento, come balza con
evidenza agli occhi del lettore, ne fa un corpus compatto e
unitario, che ci restituisce sia la visione del mondo dell’autore che il suo
personale e peculiare linguaggio espressivo. Entrambi caratterizzati da un
filtro memoriale che, attraverso accenti venati spesso da una fine ironia (e
“l’ironia non è che un aspetto del pudore” (p. 104), hanno un sotterraneo –
come è detto nel bellissimo La pianta – “chiodo metafisico”:
quello di rappresentarci la “pianta della vita”, “una pianta tenace che
d’improvviso sboccia in fiori di struggente nostalgia” (p. 263).
Pirrera, che è nisseno, aveva demandato
altrove (vedi Buio come la notte, sempre Intilla ed.
1998) la rievocazione degli ambienti degli zolfatari e degli aspetti minerari.
Pertanto qui si limita a ricordarli in due racconti: nello struggente A
Favara con mio padre e ne La promozione. La sua fantasia e
la sua inventiva hanno così modo di spaziare un po’ in tutte le direzioni : “è
strano come le cose senza importanza rimangano precise nel ricordo” (p. 29).
Alcuni racconti hanno un’impronta di maggiore letterarietà, come in quello che
dà nome alla raccolta, Il balcone dei pazzi, o in Cristallo,
o nell’ultimo, quel Quaranta sigarette già apparso in volume nel
1974 e che ebbe la ventura di essere recensito, “parlato e sparlato” su “La
fiera letteraria” e di cui Leonardo Sciascia – al quale tanto piacque – disse:
“Quaranta sigarette, la mia misura!” (misura peraltro –ahimè – che ebbe poi modo
di sopravanzare). Cristallo indulge in considerazioni che possono
essere considerate come un abbozzo di poetica. “ Mi convinco sempre di più che
il mondo ha il colore dei nostri occhi. La felicità è un cristallo colorato, lo
metti davanti agli occhi e vedi il mondo più bello” (p. 112). “Chi scrive
romanzi, in genere, non ha un buon rapporto con la vita, non sta bene in questo
mondo ed è per questo che inventa altri spazi, surrogati […] Scrivere è atto di
impertinenza e deve essere atto di impertinenza totale […] Il suo era un libro
di atti mancati, memoria e rimorsi” (pp. 116-138).
Scacchi
che è dedicato a Marco Bonavia in memoriam, è un racconto che ha
una propria storia letteraria. Riprende infatti un tema che Bonavia intendeva
pubblicare in cartella serigrafica e aveva pertanto chiesto a Pirrera di
digitare e stampare su carta speciale. Il racconto di Bonavia aveva il titolo
Scarpette bianche ma poi, quando la destinazione editoriale
cambiò e l’autore chiese a Pirrera di stamparlo su carta normale, la memoria
elettronica era stata eliminata. Pirrera allora lo riscrisse a modo suo e il
suo Scacchi meriterà dopo il premio Rhegium Julii- Mario La Cava.
Ma non è finita: i due racconti apparvero infine in una edizioncina fuori
commercio con una nota di Sergio Mangiavillano e in quell’occasione Pirrera
scrisse un raccontino aggiuntivo: Scacco delle scarpette
bianche. E questa dell’osmosi fra memoria personale e memoria
elettronica, nella sua labilità e nel suo “scacco”, è quanto
mai un carattere
tipico di Pirrera, per la sua voglia di “tornare a certi luoghi della finzione
divenuti veri in quanto abitati dalla nostalgia”. Perché è il tempo e il suo
fatidico scorrere, il suo procedere immutabile la causa della continua
mutevolezza della vita, che lo fa indugiare sui particolari mutati. Il racconto
diventa così uno spècimen perfetto della mutevolezza della vita e
della sua “raccontabilità”, perché l’essenza di ogni narrativa sta proprio
nella scansione temporale: Infine è da sottolineare come il racconto viva
attraverso i particolari che, come diceva André Gide, sono quelli che rendono
artistico uno scritto.
Nella scrittura di Pirrera ci sono molti
richiami e riferimenti artistico-letterari. Così come c’è molta ironia: Sono
innumerevoli gli esempi che si potrebbero portare. Ci limitiamo al seguente che
li comprende entrambi: “Aveva trascorso notti e notti a tremare, abbracciato al
fucile ’91, sulle rive dell’Isonzo mentre il Piave – more solito – mormorava e
Ungaretti che era un gran poeta, di quelli ermetici, stava come stanno
sull’albero le foglie” (p. 318).
Pirrera riporta spesso dei proverbi,
specie in versione dialettale, anche se poi ironizza sulla loro stessa valenza
gnomica: “I proverbi sono la saggezza dei popoli, ma anche la somma della loro
stupidità” (p. 280). Anche il lessico viene ironizzato (boutique,
pub) o, più frequentemente italianizzato nella grafia (frigider,
bistrò). O coniato ad hoc, in funzione espressiva:
stenocefali (da stenos, stretto, e cefalos),
attalponati, “galoppini vuotacànteri in
doppiopetto” (p. 312). Ma ci possono essere evenienze che appartengono alla
tradizione dialettale (mellone) o ai tic personali, come è il
caso di scimmunita, che la doppia “m” rinforza il significato
grazie al richiamo fonico con le scimmie.
in: Piccolo cabotaggio, Bologna
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Recensione |
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