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Lucio Zinna in sospensione
Lucio Zinna torna a pubblicare un mannello di liriche in una splendida
edizione di LietoColle, Poesie a mezz’aria, dove il titolo non soltanto richiama quello
che può trovarsi “in una condizione sospesa tra basso e alto e anche all’interno
del soggetto”, ma in senso più estensivo allude – metafisicamente – alle
shakespereiane “cose che possono trovarsi tra cielo e terra”. C’è al riguardo un
testo, Per un transito alare, dove la sfera aerea e celeste si
presentifica con impalpabili e misteriosi “angeli”, che tuttavia non diventano
mai corporei e lasciano tutt’al più i segni del loro passaggio negli interiori
“circuiti mentali”. E’ tuttavia evidente che qui non si tratta di una rilkeiana
angelologia, ma soltanto di quei “transiti” esistenziali e di quei “legami”
affettivi e memoriali (i due sostantivi corrispondono ai titoli di due sezioni
del libretto) che lasciano i loro depositi all’interno della psiche, cioè in
quello straccio d’anima, con i “suoi errori risorse rimpianti” (p. 30).
Sicché la perlustrazione finisce con l’avvicinarsi a uno psicoanalitico scavo
introspettivo all’interno del sé.
Nello scorrere delle cose
verso la loro distruzione, nella continua dissipazione universale, ecco allora
che si possono “assaporare” la brevi pause che ci danno come un “fugace sollievo
alla rassegnata fatica di vivere” (p. 17), a cominciare magari dalle focacce con
l’origano gustate nell’infanzia e che ora effluvi di forno richiamano come una
madeleine proustiana. Proprio la consapevolezza che “passa tutto (anche
il futuro), porta a dare valore al carpe diem, “a degustare per quanto
possibile | questo cosiddetto nostro tempo” (p. 18). Qui non possiamo non notare
la consonanza della visione di Zinna con la posizione “disincantata” di
Leopardi, secondo quanto egli stesso ha messo in luce in un saggio sul
realismo radicale del recanatese (“Colapesce”, Palermo, V, n° 5/1999-2000):
“Il tempo e la sua fugacità costituiscono tema fondamentale della poiesis
leopardiana”.
Una sezione è poi dedicata
agli affetti familiari, che costituiscono anch’essi una “tregua” apposta al
degradare cosmico, tra cui spicca quell’alto esempio di amorosa vicinanza di
Come quando, nel quale i colloqui avvengono ossimoricamente attraverso
“loquaci antenne di silenzio” (p. 35).
Sono due le vie che sceglie
Zinna per reagire alla finitudine e alla mortalità. Una è quella della
religiosità, cioè l’accentuare l’affratellamento creaturale, come nella dolente
Canzone triste per un piccolo indifeso, che è una commossa trenodìa per
il bambino Salvatore scomparso a cinque anni. O come nel testo dedicato alla
“gattara” Claudiana, abbinata a Madre Teresa di Calcutta, che non sospettò nel
suo amore per i felini “di essere muta espressione di un nuovo | umanesimo
(secondo cui ogni vivente | è – a pari dignità – abitante del pianeta)” (p. 50).
La seconda via è quella della “strategia per guardare il mondo a distanza”
fornita dallo strumento dell’ironia, che in una virile e adulta consapevolezza
critica, coinvolgendo l’ironista stesso, acquista una valenza solidarizzante e
comunitaria.
Sul piano dell’espressione si
riscontra nel libretto il consueto bagaglio zinniano di soluzioni stilistiche e
lessicali. A cominciare da una costruzione lineare che, eliminando la virgola,
fa un forte uso dello enjambement e, in due casi (Lustrura e
Insolarità) assembla i testi “a cascata”, cioé facendo idealmente perno al
centro del foglio. Per quanto riguarda il lessico, c’è un largo impiego di
termini francesi, latini e dialettali (azzuolo è l’azzurro, aremi
sono uno dei semi delle carte da gioco, baglio è il cortile interno delle
case tradizionali a impianto arabo), ma anche parole del contesto d’oggi, come
svitol e slìvovitz. Ci sono poi le amate parole composte (il
darrighiano scillecariddi, castanochiari, apritisesamo, deidesertico)
e assonanze foniche come “timori e timoni”, “lesto/lene”, “era/euro”.
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Recensione |
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