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Il canto del Luì
poetrydrim
Quando è rapido lo scorrere delle pagine nella lettura certamente siamo innanzi
ad una scrittura limpida ed accattivante. Così ci avviluppano le scorribande
letterarie che si avvicendano, tra incantamenti o smarrimenti, incursioni
accidentali e memorie, orizzonti incantati e silenzi che proteggono, aspettative
stupefatte e filtri d’amore, in un romanzo che ricama il quotidiano di un
personaggio tutto da plasmare, in quel tessuto che ondeggia tra l’ironico ed il
celato.
Il pregevole significato del racconto, tutto teso tra l’aspetto più intimistico
delle assonanze, che in bella accoppiata verbale coinvolgono in sospensioni dal
registro cangiante, e tutto ricucito in un dettato che passa facilmente dalla
annotazione formale alla descrizione dettagliata degli afflati, rimane e si
traduce in accadimenti le cui polarità si rifugiano nella autotelicità
solipsistica per divenire vera e propria consonanza lirica.
E Mario Rondi è
poeta anche in questi approcci di prosa, la quale sembra ben sufficiente a dare
un’idea delle frammentazioni che il divenire inarrestabile del tempo forza nella
sua valenza astratta, e ben riafferma il radicamento e la riappropriazione del
vissuto o del termine chiave, che rimesta ricordi e porta con se cose buone e
cattive.
I fotogrammi che l’autore dispone con arguzia e sobria proprietà del dettato si
avvicendano senza interruzione: dalla semplice complicità amicale innanzi alla
brace per preparare discretamente un povero pesce, alla bambola Ermenegilda,
colta in fragrante e disperatamente sospesa nel discolparsi.
Dallo sconforto
aleggiante nella stanzetta, al pensiero incalzante della crocerossina pronta a
somministrare un clistere indolore. Dal vasto ventre femminile, dal quale
giungeva sempre una folata di profumo di essenze balsamiche, al peregrinare per
santuari in cerca di compassione. Dal capezzolo turgido della signora Carlotta
che annientava per la sua maestosità alle allucinazioni per folletti pelosi che
giocavano in calzamaglia. Da Martina, che era sempre stata una conquistatrice
riducendo i malcapitati in uno straccio agli sguardi lascivi della signora
Cornelia, femmina focosa dalle forme slanciate. Romanzo o vistoso e ricco diario
memoriale?
Si chiude questo strano e colorato viaggio, che sospende verità di
fondo, proprio perché la parola è data al servizio della verità, tra il
principio dell’autonomia estetica ed il particolare ordine della storia
indifesa, i chiude con il capitolo 19, nel quale l’autore prevede o addirittura
pregusta la morte, immaginando figure familiari in attesa e principalmente
l’Angelo di Dio “che ci perdonerà di tutte le nostre battute infelici e ci
lascerà vivere in pace con i nostri sogni”.
Omaggio e non imitazione, anche quando l’ambientazione è marcatamente impregnata
in un mondo ideale e solo in apparenza stravolgente in una espressività quasi
barocca.
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Recensione |
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