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Lasciarsi penetrare da una storia che abbia implicazioni psicologiche di così ampia squarciatura, e tali da trascinare l'autore stesso in alcuni meandri apparentemente senza sbocco, con lontananze e sfumature del linguaggio in cui vada ad esprimersi ogni comprensione ontica o ontologica non è di facile e raggiungibile abbandono si ha l'impressione di un tragico antropofagismo, che dal surreale cerchi di avvicinarsi alle illusioni metafisiche, per delineare una realtà emotivamente segnata e discorde alle risposte che potremmo accettare di scoprire.

L'autore, lasciando piena libertà al suo inconscio, s'imbatte nella verità della sua stessa ombra, dietro la quale un'altra ombra, ben più determinante, viene ad aggiungersi per costringerlo ad autolesionismo affettivo: la Madre! L'inconscio è genesi, è origine delle figure e della loro stessa opposizione: esse rimandano alla loro opposizione astratta e ad una simbolica già pre esistente. Non è qui il caso di essere affascinati da un eloquente momento funebre, ricco di quelle rappresentazioni disposte, in maniera compatta e variamente pausate, a riprendere la misura di alcune violazioni. Sino a quando alcuni tratti comincino a profilarsi nettamente come una figura, che una volta ultimata ritorni mille e mille volte a ricordare la identificazione di una "pietas" scandita dalla potenza del complesso Edipico.

Attraverso una scrittura sobria e consueta, attraverso una ricognizione di eventi e tentennamenti, abbarbicati ad una profondità intrepida ed inesauribile, attraverso la ricerca di uno stupore o di un compiacimento, di una partecipazione o di uno sgomento, il legame viscerale con la madre viene tratteggiato da infiniti motivi psicologici, da dissonanze e chiaroscuri, da raffinati ritmi che seguono addirittura una logica di discorso, quale una romanzata confessione, senza più remore o tabù.

Appunti per una storia naturale della morte, di quel mistero impenetrabile, che per Scarselli diviene il proprio intimo spessore perduto sin dall'interno dell' utero materno. Utero varie volte rivisitato, in maniera tangibile, anatomica, per rotolarsi dentro, alla ricerca di quei "tristi recessi" oscuro sbocco di affetti sacrificati o di ampi brani nevrotici. "Le tracce imperettibili dell'anima | nei più nacosti fremiti della carne" ci danno notizia dell'implacabile tentativo di sovrapporre al mondo fisico il desiderio, e l'alimento del pensiero, costituito dalla volontà di sopravvivenza al di là della morte. Il dramma appare chiaro nello scorrere di versi modulati ed insieme prepotenti, appare chiaro e terribile, perché nella rappresentazione, a volte dissacrante, rivela per forti concetti e forti immagini, il nostro stesso mondo ossessivo e l'impotenza di ognuno di noi contro il trabordare del subconscio.

Recensione
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