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Scorrere un volume così denso e corposo, assaporarne le volute profumate, scendere nei dettagli della scrittura, non è cosa frequente, e contemporaneamente non è facile avvio il dettaglio critico, in un primo tempo quasi cautamente sospeso. Metafore ed assonanze si compenetrano e si intrecciano, in uno scorrere limpido di endecasillabi o di righi interrotti, per una dimensione etica che trionfa con la sua partecipazione al quotidiano ed alla fantasia, quasi risveglio che proditoriamente provochi l’immaginario del lettore per rincalzare le varie ipotesi di dilatazione del detto o di tensione negli oggetti del simbolo.

I suggerimenti di quest’opera omnia, che scorre da Galateo per enigmi (del 1988) a Tela di parole (ultimo testo), per riproporre poesie tratte da Dedalus (1990), La partita (1994), Nel cerchio delle cose (1994), La voce della terra (1998), Il volto della memoria (2000), Il giardiniere impazzito (2001), Nel corpo del mutare (2004), sono proposte oculate, selezionate secondo un’ottica che non concede interruzioni dei testi, ma avvia ad una stesura cronologica, nella individuazione necessaria per una ipotesi di cernita capace di offrire un panorama esaustivo e nello stesso tempo avvincente nella definizione del rapporto con la pagina.

L’autore continua ad esprimersi, attraverso la voce del verso, compositore di immagini, narratore di spaccati della memoria, cantastorie dell’ingegno, e trasforma in altrettante entità e qualità esistenziali il racconto della sua creatività, trasposizione e identificazione a volte nostalgica che si intrecciano nella festosa comunicazione della novità. “Dentro il verso la pena della mente, | il lavoro e l’affanno a costruire| ponte di parole fra sponde di silenzio. | Su basamenti di memoria arcate | di sogni, ponteggi d’assenze e presenze, | concepimenti e disfacimenti, | la culla e la sua fossa.” (p. 545).

Una suggestione questa che è visione diretta dell’esperienza letteraria, capace di costruire una cosmogonia fantastica del problema di rappresentare la difficile posizione del poeta nel farsi contemporaneo al corso della sua vita.

La seduzione dell’orecchio, immerso nei suoni del tempo che scorre inesorabilmente, diviene stupore del possibile, mentre il sussurro attraversa il fluido magnetico dei contatti. “Chiusi nel silenzio della solitudine | a scontare la nostra condanna | ci aggrappiamo alla corda della parola | che oscilla tra l’attimo l’eterno | e aspettiamo la gloria del Verbo” (p. 540). “Una mano celeste| sfiorò le tue caviglie | e le tue ciglia cieche si chiusero | sulla mia distanza: | passa un rifiuto tra il divino e l’uomo. | Virtù è restare nel poco delle cose, | oltrepassare i limiti è follia, | ma il cuore ha sempre ritmi di fuga | e il piede è già proteso alla partenza.” (p. 320).

Ogni particolare, nella visione della natura umana che sottende, è assediato nel rischio del linguaggio e si compone in vari elementi ognuno dei quali fa riferimento ad un aspetto elementare dell’esistenza e quasi sempre difficilmente esplicitato, perché la sapienza storica si sospende nel contenuto allegorico della proiezione, ed ogni poeta rischia a sue spese di perdersi nel buio della rarefazione.

Chiellino riesce a concludere ogni tentativo di interpretazione divenendo idealmente palpitazione egli stesso e riuscendo a sciogliere quei legami che colgono le armonie discordanti del caos segnato dalla sospensione della veglia. L’urgenza non mette mai in ombra le qualità che coniugano emozioni e suggestioni, immediatezza e aspettativa, parola ed eco. Un gioco capace di condensare le proiezioni del tempo nel ritmo, nel metro, nelle forme squisite o sofisticate, le paure, le gioie, gli incubi , i desideri, le passioni, ed ancora le memorie, il ripetere radici, le identificazioni autobiografiche, la costrizione di una qualsivoglia ideologia che scaturisce tra pagina e pagina, destinata a rimanere nell’innesto di tematiche diverse e variopinte, o in uno scenario corale di inquietudini e liricità.

Recensione
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