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Fra i molti autori e i
molti titoli, riconosco un volumetto di appena settantacinque pagine che mi è
caro: Sul viso umano di Danilo Mandolini edito da l’Obliquo di Brescia nel
febbraio scorso. Mandolini ha poco più di trentacinque anni, è nato ad Osimo,
dove vive, e questa è la sua prova senza dubbio più compiuta, dopo le
inevitabili esperienze di quell’infinito arcipelago di plaquette e libricini,
purgatorio di ogni autore. Ciò che mi piace di questo percorso è il garbo di una
testimonianza che tenta di farsi strada per fedeltà al senso umano, lo stesso
che si fa aggettivo del titolo e colma di sé gli spazi bianchi della pagina dove
i luoghi visitati, gli affetti, le ferite del mondo, le perdite, le cose, gli
atti del vivere sono indelebile scia del proprio transito che si fa scrittura,
traccia, ruga durante il passaggio. L’opzione sta nel “…pronunciare una parola
piuttosto che un numero” e Mandolini decide per la prima, ne accetta tutta la
difficoltà e l’esilio, consapevole anche del valore sociale e politico di questa
posizione in un tempo della storia che nega proprio l’umano favorendo il
perdurare di una violenza che cresce e lavora per spegnere le voci, nella
menzogna dell’ora globale, decidendo di non ascoltare (ma fino a quando?) il
“brusio delle piazze”, l’unghia del tempo (come sta scritto nell’esergo dal
praghese Jaroslav Seifert) che incide e lascia segni indelebili: la poesia
appunto.
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Recensione |
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