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Riflessioni dopo la lettura de Il Palazzo
del Grande Tritacarne
di Veniero Scarselli
Conferenza
Cepu, Arezzo
Comincio facendomi
scudo non solo di Giancarlo Oli che era amico e ammiratore di Veniero Scarselli,
ma anche di Mario Sansone, di Barberi Squarotti, di Luigi Baldacci, che hanno
detto cose bellissime sulla sua poesia. Peraltro ci sono state anche persone che
non l’hanno molto apprezzata; chi ad esempio si prenderà la briga di leggere la
lassa 43 de Il Palazzo del Grande Tritacarne vedrà che c’è un’invettiva
di tipo dantesco contro qualcuno che non è stato molto convinto della sua poesia
e che l’ha con ogni mezzo osteggiata. Questo per dire che io giungo buon ultimo
per dire qualcosa sulla poesia di Veniero Scarselli, ma senza nessuna pretesa,
non esaurendo non solo Il libro di cui oggi si parla ma tanto meno il resto
dell’opera scarselliana. Tuttavia, mettendo in conto che possa prendere qualche
abbaglio, anch’io ho cercato di seguire l’opera del Poeta durante questi anni,
di farmi guidare anche all’interno della sua poetica, ma sapete bene che coi
poeti si possono dire cose che poi il poeta ti può rinfacciare di non aver mai
voluto dire; la poesia di Scarselli è infatti complessa, non formalmente ma nei
contenuti. Ognuno poi leggendo e frequentando queste bellissime cose che ha
scritto si farà una propria idea, io sono soltanto uno che farà delle
sottolineature.
Bene, partiamo dalla forma, senza mettermi in
difficoltà circa la questione della forma e del contenuto perché non sono un
frequentatore di Croce e credo che neanche Scarselli sia tanto d’accordo con
alcuni dogmi crociani. Com’è noto, si dice che quella di Scarselli sia una
poesia di pensiero, ovvero pensiero poetante. Ciò vuol dire che a Scarselli non
interessa la poesia come sfogo intimistico né la poesia di intrattenimento, e
questo lo hanno già detto in molti. Diciamo che è una poesia che riflette e fa
riflettere; la sua poesia è piena di concetti, tanto che il suo estimatore e
critico in senso positivo Giancarlo Oli gli aveva suggerito di considerare
“lasse” meditative i vari brani in cui sono suddivisi i suoi poemi. Ebbene, la
“lassa” secondo lo Zingarelli è ogni serie di versi più o meno lunga con una
sola rima o assonanza, di cui si componevano i poemi francesi e spagnoli del
medioevo.
Posso dire che la
poesia di Scarselli è poesia filosofica? Io ci provo, perché mi pare di non
tradire l’idea di un poeta che peraltro non accetta queste distinzioni fra
poesia, scienza, filosofia. In questo senso mi sono sentito meno in difficoltà
perché ho ritrovato temi a me molto cari ma anche congeniali a chiunque mastichi
un po’ di filosofia. In fondo, anche secondo Scarselli scienza, poesia e
filosofia sono molto più vicine di quanto si pensi, forse proprio perché nessuna
riesce a cogliere veramente la verità, e pertanto nell’approssimarsi alla verità
tutte danno il loro contributo. In Veniero Scarselli la delusione per la
scienza, questa scienza pretenziosa che poi non sa darci quelle risposte che ci
attendiamo, la delusione della scienza si è fatta impeto poetico-filosofico. Chi
veramente credesse che alla scienza non sfugge la verità, chi credesse
nell’onnipotenza della scienza, prenderebbe un grosso abbaglio; tuttavia si può
parlare di una poesia filosofica, o filosofia poetica, o scientifico-poetica
davvero interessante. Si può dire che Scarselli sia davvero un grande interprete
che inaugura un modo di fare poesia molto interessante, particolarmente
coinvolgente.
Ma ecco qui anche il
linguaggio. Forse è una cosa caratteristica della mia famiglia; mio padre era un
medico, ma gli piaceva molto l’italiano, sapeva scrivere bene e stava
attentissimo all’uso della lingua, agli errori, ho anche sposato una
professoressa di italiano; insomma l’italiano c’era sempre in casa mia, per cui
mi sento di poterlo dire: Scarselli sa l’italiano. Il che non è mica poco;
guardate che saper l’italiano è una gran cosa. Io stesso, ogni volta che devo
prendere carta e penna o comunque accendere il benedetto computer, mi trovo
sempre un po’ in difficoltà, perché l’italiano sembra facile ma poi alla prima
frase complicata trovi dei problemi espressivi. Scarselli ha invece un italiano
meraviglioso, una capacità di dominio della lingua veramente straordinaria, un
linguaggio secco, trasparente, mai oscuro né criptico come invece molti credono
debba essere il linguaggio poetico. Qui infatti c’è un po’ di polemica con
quelli che dicono che il poeta non deve esser chiaro, che il poeta dev’essere
quello che non si capisce. A maggior ragione la chiarezza è necessaria quando
c’è anche la complessità dei contenuti e Scarselli sviscera appunto argomenti
che fanno tremar le vene e i polsi. Nondimeno il suo linguaggio è chiaro, c’è
una grande padronanza della lingua e direi anche un uso della lingua che non va
a cercare parole ed espressioni inusitate o particolarmente complicate. Egli
riesce con parole semplici e termini sempre consueti a scrivere profondamente e
riccamente proprio perché ha un dominio sulla lingua notevolissimo. Lo vogliamo
chiamare un linguaggio a-poetico o ultra-poetico? E’ comunque un linguaggio
forte, tagliente, molto ben controllato. Questo dunque è un linguaggio poetante
o poesia di pensiero, una riflessione esistenziale e metafisica. La metafisica
non gode oggi di grande popolarità, ma Scarselli invece non ne è affatto
disgustato, e questo mi fa un sacco di piacere. La poesia oggi è l’unico modo
per affrontare la metafisica, ed è un discorso che vanno facendo anche molti
pensatori; anche infatti dal punto di vista filosofico ci si chiede come si
possa fare ad andare oltre il dicibile.
Parliamo ora un po’
dei contenuti di questa poesia così forte. Quando Scarselli mi ha mandato Il
Palazzo del Grande Tritacarne, mi ha scritto: digerisciti questo mio parto.
In effetti non è una cosa da leggere prima dei pasti, ci sono dei temi
fortissimi; non saprei come elencarli, in modo casuale o secondo un metodo di
comodo. Ecco ad esempio il tema di Dio, Scarselli è ossessionato dalla ricerca
di Dio e dalla sua moderna rappresentazione. E’un tema ineludibile nella poesia
e nella filosofia, specialmente per un poeta che fa una poesia di pensiero. Il
tema di Dio è ovviamente legato al tema del cosmo fisico e del cosmo umano, il
cosmo fisico che poi diventa metafisico; qui c’è tutta la grande esperienza di
Veniero Scarselli scienziato, che si è confrontato con questo grande tema del
mondo della materia. C’è infatti un forte materialismo nella sua poesia, la
materia è presente, molto presente, specie nelle sue forme, diciamo così, più
obbrobriose. Tante volte egli lascia al sesso il compito di far vedere gli
aspetti d’una realtà per certi versi orrenda e sublime della materia; è molto
forte questo tema della materia e il Tritacarne lo rappresenta. Ci sono più
volte immagini veramente sanguinolente, immagini aspre, dure, ed è anche qui che
incombe sulla sua poesia il tema della morte, della putrefazione, gli odori acri
e i colori della decomposizione. Scarselli è un uomo che ha guardato veramente
con coraggio la dimensione biologica nella sua più cruda realtà. E da qui deriva
anche una visione desolata e desolante della condizione umana. Non poteva non
venirmi alla mente un filosofo come Schopenhauer, il ripetersi incessante di
certi meccanismi come quelli di un tritacarne. Schopenhauer parlava di Volontà,
la volontà di vivere; anche qui tutto sembra essere in qualche modo destinato ad
essere macinato da questa forza che anela di vivere in una sfera metafisica che
non lascia spazio a niente.
Dio e il cosmo,
dunque. Sete di Dio, ma senza fede; anche se tuttavia potremmo citare la famosa
frase agostiniano-pascaliana “tu non mi cercheresti se non mi avessi già
trovato”. Che è anche un modo di cavarsela alla grande; però è veramente una
riflessione forte; c’è anche nella tradizione più antica, socratica: “cercare è
anche trovare”. Certo la condizione umana è tale che la materia non è superabile
nella sua brutalità e crudezza; c’è il senso di una carnalità che poi si disfa,
si corrompe, tanto che mi viene da chiedermi se Scarselli la ami o la odi questa
materia. “Santa materia” diceva Teillard De Chardin, uno dei più discussi e
interessanti filosofi del nostro secolo, anche lui che ha tentato una difficile
ma interessante sintesi tra la verità cristiana, il materialismo e
l’evoluzionismo. C’è un vitalismo nella poesia di Scarselli, ma è un sì alla
vita, o è un no? Certo si avverte nella poesia di Scarselli – e lo dice lui
stesso – la necessità di una purificazione, e questo indica una volontà di
superamento metafisico. Ora però la domanda è se questa purificazione debba
proprio passare per forza dal Tritatutto. Ma Scarselli ha a questo punto una via
di salvezza, che è l’ironia. I poeti dicono le cose ma poi dicono anche “ma io
scherzavo”. Scarselli insomma prima ci mette nel Tritacarne, ci fa star male
fino in fondo e poi ogni tanto butta lì un po’ d’ironia.
Vorrei concludere con
due riflessioni. Una è molto semplice: leggete la poesia di Veniero Scarselli.
Io infatti vi ho detto poco o niente, è quindi un compito che vi do con grande
libertà d’animo perché è una poesia che si legge col cuore e con la mente. E poi
voglio dire un’altra cosa. In questo libro ho avvertito la presenza di un uomo
vero e di un amico. Ci siamo incontrati, ci siamo scritti, e io ho avvertito
questo spessore umano profondo. Per me la cultura diventa anche umanità, si fa
anche tessuto di rapporto umano. In Veniero Scarselli io ho trovato questo, e
spero che l’amicizia che ci lega, e che è anche una possibilità di vita, non sia
destinata a finire.
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Recensione |
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