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Bambina con
draghi
Nella forma di
un haiku post-moderno, che caratterizza con una lunga sequela di terzine
buona parte della raccolta Bambina con draghi, Renzia D'Incà dà vita ad una
poesia densa, graffiante, scomoda, alla ricerca costante di un equilibrio,
quasi un senso superiore che però sembra sfuggirle, oppure viene rifiutato
come una morale fastidiosa e retorica.
La ricerca di un colloquio
autentico con se stessi e con gli altri è comunque la chiave fondamentale
delle poesie di Renzia d'Incà, che inizia i suoi versi con una lunga
confessione, forse con la madre, forse con una figura più paterna, «un
gatto mammone» lo chiama l'autrice, sicuramente con chi ha gestito anche la
sua vita e, in parte, la sua anima. Ma attraverso l'altro, attraverso il
dialogo, i versi operano uno scavo interiore feroce, condotto senza peli
sulla lingua, che in poesia vuol di dire dare vita ad un linguaggio a volte
duro, sicuramente trasgressivo, ribelle.
È un percorso, come dice nella
prefazione Paolo Ruffilli, di avvicinamento a se stessi, è un andare verso
se stessi e verso l'uomo in generale, farlo
però senza falsa retorica, senza sentimentalismi di sorta, in maniera cruda
e vera. Questi muri di confronto, questi alter ego spietati, sono i draghi
di cui si parla nel titolo, che evidentemente rimontano agli anni
dell'infanzia, ma di cui l'autrice non si è liberata, forse anche
volontariamente, visto che a volte la cura e la guarigione possono
giungere proprio da ciò che sembra dannoso.
«Quando nessun farmaco fa guarire» afferma la poetessa in una terzina «quasi sempre l'antidoto è l'infestante». Così la bambina che gioca con i
draghi è la poetessa stessa alle prese con i mostri della propria
interiorità e della realtà esteriore, i mostri dai quali però la poesia
esige risposte, magari una cura, sicuramente una via, un percorso.
I draghi sono
mostri ambigui, non si sa mai se considerarli amici o nemici, proprio come
le forze ostili che si muovono nel mondo e che rendono la società, il
consorzio umano dove tutto dovrebbe essere sicurezza e armonia, una
giungla, un campo di battaglia. Alle prese con i mostri del mondo sociale la
poetessa però non considera la poesia un rifugio. Questa ambiguità della
lotta, che porta l'autrice a trasformare lo stesso amore di coppia in una
schermaglia, la portano a costruire nelle sue terzine (pregnanti a volte
come aforismi) degli ossimori di grande forza espressiva. Come quando
sostiene «e adesso per andare avanti è necessario tornare indietro»,
giustificando l'analisi
spietata che la poetessa sembra condurre sulla sua vita attraverso la
disamina indiretta e simbolica del passato e dell'infanzia In questo modo
le terzine mostrano che tutto è se stesso, ma nello stesso tempo il suo
contrario. E non è un caso che ad un certo punto ci si imbatte in
un'affermazione scandalosa e antitetica, «ogni amplesso è un incesto»,
verso che in sé spiega davvero tutto, o comunque tanto di questa poesia, in
cui il rapporto con il partner non può non nascondere le tracce dell'antico
rapporto con il padre.
È forse per
questo che, quasi inevitabilmente, il costante dialogo con l'altro, iniziato
con la madre, continuato con il o i compagni, si conclude con il confronto
con la figura paterna, dando all'intera raccolta una coloritura
psicanalitica, a dire la verità resa inevitabile già dall'uso della
simbologia iniziale, quella che fa appunto riferimento ai draghi. Certo
scandalizza e spaventa l'epilogo che l'autrice dà al suo viaggio poetico,
una sorta di finale battaglia con il padre, che cerca di trasformarsi in un
parricidio. Eppure dietro questa ribellione distruttiva, si nasconde un
impeto costruttivo e creativo. Una ribelle, un'anima inquieta è
Renzia D'Incà insieme al suo io poetico, una rivoluzionaria che cerca in fondo
però la quiete, la pace, il proprio equilibrio. Un'anima disperata che vuole il
contatto con l'altro da sé. Ma vuole che questo contatto sia vero, sia
autentico, sia vitale. Senza nessuna pietà la poesia D'Incà va a cercare
dove l'umano ancora sopravvive, elo fa a costo di uccidere l'umano che però
umano più non è.
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Recensione |
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