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Il sandalo di Nefertari
Così come alcuni anni or sono
l'ultimo respiro di Cleopatra ispirò a Rossano Onano la silloge
Appunti ragionati di Prossemica (Book Editore, Castel Maggiore 2002) ora la
calzatura appartenuta a un'altra regina d'Egitto, Nefertari moglie di Ramesse II,
conservata presso il Museo Egizio di Torino, innesca le riflessioni poetiche
dello psichiatra di Cavriago il quale in apertura canta la migrazione dei
reperti trasportati dallo Schiapparelli dall'Egitto al Piemonte dove “il
sonno sarà lungo, senza abbagli” (2014).
Lo sguardo indagatore di Onano si
sofferma sulla natura stagionale della guerra, caratterizzata da lunghi
letarghi invernali nell'attesa della ripresa delle ostilità: “Quando il
sangue e la terra si riscalda / torniamo alla campagna, a primavera”. Nella
lirica manu militari sicuramente una metafora ci pare di cogliere, dietro
l'immagine della “ragazza di piede torto” la quale “vegliava
l'accampamento / timorosa che le sorelle ci occupassero di notte” un
richiamo alla nostra Italia che mentre vigila le proprie, invigilabili coste
deve guardarsi le spalle dalle “sorelle” occidentali.
Di fronte alla
logica scontata degli schemi Onano esalta la forza dell'imprevisto, il lampo di
casualità in grado di rovesciare la situazione sicché nella lirica 4-4-2
la perfezione della recita è destinata a dissolversi: “la squadra era
disposta molto bene / il guaio è che i giocatori si sono mossi / hanno corrotto
la geometria / fino a quando un rimpallo un tiro casuale violento / ha deciso la
partita / come appunto avviene nella vita. / Fino a quando la partita è finita”.
Poesia di solitudini, quella di Onano (paginebianche.it; una muchacha
morena) e di amori impossibili come quello “fra un orso marsicano e la
lupa d'appennino” (fabula), giocata su scenari ove incombono pifferai
magici (Hamelin) e tentazioni di diserzione, consistenti ora nel
defilarsi imboscandosi “nel lento carro delle vettovaglie” (rispettosamente),
ora nel praticare una consapevole resistenza di fronte alle leggi spietate
dell'economia: “dammi l'acqua, un pezzo di pane / d'olio e sale, l'aglio
fesso / strofinato in coppa perché rimanga / l'ombra o poco di più, una rigorosa
/ sigaretta di tabacco a filtro lungo. / Dirai che non collaboro, non consumo /
quanto basta perché la produzione / prenda respiro, il PIL di conseguenza /
soffre” (PIL). Poesia di vincibili armate e di regole d'ingaggio
ignote ma rispettate, nella consapevolezza che la vita non è che una danza
macabra, come attesta il ballo degli scheletri all'oratorio di Clusone.
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Recensione |
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