Talisker
Racconti scritti col
martello
Chi lotta con i mostri
deve guardarsi di non diventare, così facendo, un mostro.
E se tu scruterai a
lungo in un abisso, anche l’abisso scruterà dentro di te
(F. Nietzsche)
Non ho imparato a
volare, ma ho imparato a ridere precipitando
(S. Benni)
If we are all in the gutter, it doesn’t change who we are,
‘cause someone of us in the gutter are looking up to the stars
(Mika, Good guys)
13 – Ho imparato a guidare a Palermo
Era un’umida mattina di
primavera; le foglie degli alberi ormai dissetati erano imperlate da gemme di
pioggia. Era piovuto per tutta la notte precedente, con vento e lampi, come se
il cielo avesse pianto a dirotto e tutte le sue lacrime si fossero abbattute
violentemente sulla terra. I fiori erano stati piegati dalla troppa sofferenza
celeste e ora giacevano ricurvi su sé stessi, colorati e fradici; sull’asfalto
le pozzanghere erano così ampie che bisognava attraversare la strada con molta
prudenza.
Il Sole stava iniziando a
fare capolino da dietro alle nuvole che oscuravano persino la cima delle
montagne; le temperature si erano notevolmente abbassate e i primi starnuti
primaverili si facevano sentire.
Uscii di casa trascinandomi
dietro il pesante trolley, mentre controllavo di avere tutto: chiavi,
portafoglio, cellulare, caricabatterie portatile.
Il mio amico Marco era lì
che mi aspettava a bordo della sua Panda verde, fumando un sigaro; indossava un
dolcevita rosso e dei pantaloni neri. Gli occhiali da sole coprivano lo sguardo,
che sapevo essere triste; scese dalla macchina, mi salutò dandomi il cinque, poi
aprì il bagagliaio e mi fece posare la valigia accanto alla sua.
Mi sedetti nel posto del
passeggero, mentre lui finiva di fumare e risaliva in macchina, pronto a mettere
in moto; guardai l’ora: erano le 6.35.
“Ci fermiamo a fare
colazione in qualche bar?” gli chiesi
“Va benissimo; hai qualche
preferenza?”
“No, il primo che troviamo e
che ci ispira va benissimo”
“Ottimo. Hai preso tutto?”
mi domandò
“Credo di sì; poi sai come
sono queste cose: per quanto ti fai la lista con tutto il necessario quando
parti hai sempre la spiacevole sensazione di esserti scordato qualcosa.
Sensazione che poi, detto tra noi, è sempre vera”
“Spero che tu non abbia
lasciato a casa nulla di importane; anche perché non torneremo più”
“Credimi, lo dico e ancora
non ci credo”
Mise in moto e partì a gran
velocità; muoveva il volante, schiacciava i pedali e cambiava le marce con tanta
naturalezza che pareva essere un tutt’uno con l’auto; era sorprendentemente
bravo. Lui intuì i miei pensieri e sorridendo mi disse:
“Io ho imparato a guidare a
Palermo, ricordatelo. Posso andare su qualsiasi strada in qualsiasi condizione
climatica. Con me non devi temere incidenti né robe simili; stai sereno,
rilassati e goditi il viaggio. Ti chiedo solo di non dormire, perché mi farebbe
piacere poter chiacchierare; ho lasciato l’Ipod in valigia, quindi neanche la
musica ci può disturbare. Se per te va bene, naturalmente”
“Ma certo amico mio, in
fondo è la tua macchina; comunque parliamo pure, non c’è problema. E non ti
preoccupare che non mi addormento: è vero, stanotte non ho chiuso gli occhi per
l’emozione, ma ho così tanta adrenalina in corpo da non sentire la stanchezza”
“Davvero non sei riuscito a
dormire? Mi spiace”
“Perché deve dispiacerti? In
fin dei conti sono rimasto sveglio per la contentezza”
“Anche io non vedevo l’ora
di partire; infatti stamattina appena mi sono alzato ho fumato tre sigari uno
dopo l’altro”
“Devi smetterla con questo
vizio, Marco”
“Mi rilassa e mi aiuta a
pensare; sai quanti scrittori famosi fumavano?”
“Sì lo so, ma ti fa male”
“Beh anche tu dovresti
ridurre il consumo di alcool”
“Guarda che non bevo tanto;
giusto qual cosina dopo i pasti o prima di scrivere. Sai quanti scrittori famosi
bevevano ?”
“Tutti quelli che leggi tu”
“Cambiando discorso: ci
pensi a ciò che ci attende?” gli domandai
“Sì ci penso, ma non riesco
del tutto a immaginarmelo. È forse meglio così, in fin dei conti la vita sa fare
molte sorprese”
“Guarda quel bar; ti piace?”
“Ma siamo appena partiti”
“Sì lo so, ma ho davvero
voglia di caffè”
Sterzò di colpo, infilandosi
nel parcheggio antistante il bar; andò a mettersi a colpo sicuro in uno degli
spazi disponibili per posteggiare. Spense il motore, estrasse le chiavi, si
tolse gli occhiali da sole e prese dal cruscotto il portafoglio; scesi anch’io,
mentre lui chiudeva le porte dell’auto e si accendeva un altro sigaro.
Entrammo nel bar, salutammo
la bella cameriera mora che stava dietro al bancone e andammo a sederci; presi
la Gazzetta da sopra uno dei davanzali.
Scegliemmo un tavolo
collocato all’angolo del locale, abbastanza appartato ma da cui era comunque
possibile vedere la televisione, così da sapere le notizie del mattino.
Io lessi il titolone in
prima pagina sulla Rosea, mentre Marco sbirciava velocemente il suo telefono per
rispondere ai uazapp della madre; la bella cameriera ci raggiunse armata
di un sorriso smagliante e di una gonna sopra al ginocchio e prese le
ordinazioni:
“Per me un cappuccino e una
brioche” disse Marco
“Io prendo un latte
macchiato e un triangolo al cioccolato”
“Ve li porto immediatamente”
rispose la ragazza
Tornai a concentrarmi sulla
Gazzetta, leggendo il reportage della partita della sera prima
“Hai visto che figura del
cavolo ha fatto ieri il mio Palermo?” domandò Marco
“Ho visto sì, siete davvero
inguardabili”
“Vediamo poi voi stasera,
che siete tanto bravi a parlare”
Sorridemmo entrambi, poi io
guardai l’ora; erano quasi le 7.
“A che ora abbiamo il volo?”
domandai
“Alle 9.20 dobbiamo
presentarci per il check-in”
“Ce la facciamo ad arrivare
in tempo, vero?”
“Con me in due ore ci arrivi
anche zoppo all’aeroporto; sai che ho imparato a guidare a Palermo: in un’ora
giungiamo a destinazione, mi basta spingere un poco sull’acceleratore”
“Perfetto, allora prima di
ripartire butto giù due bicchieri di whisky così evito di vedere mentre ci
ammazziamo”
“Come sei tragico! Non ti
fidi di me?”
“Certo, ma nel dubbio
l’alcool aiuta”
Finii di leggere l’articolo
sulla Gazzetta quando la bella cameriera ci portò la colazione esibendo sempre
il suo sorriso smagliante targato, probabilmente, Pasta del Capitano; con le sue
mani dalle dita esili ma affusolate mise davanti a Marco cappuccino e brioche e
davanti a me un bicchiere di latte, un piemontesino colmo di caffè e il
triangolo al cioccolato. Ci offrì anche due bicchierini d’acqua frizzante.
Io spostai lo sguardo dal
giornale alle sue unghie smaltate di fucsia e non potei fare a meno di vedere la
gran quantità di anelli e braccialetti che indossava e che tintinnavano ad ogni
suo passo, producendo il suono di tante piccole campanelle.
Oltre a 10 kg di ferro
complessivi che le gravavano sulle mani, aveva anche, come già detto, una
dentatura bianchissima e due occhi verdi che sapevano catturare l’attenzione;
nel complesso, era una bella ragazza e infatti un po’mi dispiacque quando, dopo
averci servito, si allontanò dal nostro tavolo non prima, naturalmente, di
averci regalato un altro dei suoi sorrisi.
Zuccherai il latte, recitai
la preghiera e addentai il triangolino al cioccolato, lasciando che il sapore
della Nutella mi invadesse la bocca; lo finii in un paio di morsi da quanto era
buono, poi vuotai in un sorso solo il bicchierino con l’acqua frizzante, così da
pulirmi la bocca, infine versai il caffè nel latte, mescolai, mangiai la schiuma
in superficie e poi con calma bevvi.
Marco aveva divorato la
brioche e ora si stava godendo il cappuccino, mentre con un mano stava
controllando lo schermo del cellulare; quando entrambi finimmo ci lasciammo
sfuggire un verso di soddisfazione e ci alzammo dal tavolo.
Il telegiornale, intanto,
aveva lasciato il posto alle previsioni del tempo e a una rubrica di cucina
casalinga giornaliera.
Marco si avvicinò alla cassa
e pagò la colazione a entrambi, poi prese dalla tasca un altro sigaro e
l’accendino e andò fuori a farsi un’altra fumata; io mi ero portato dietro,
alzandomi, la Gazzetta e con la scusa di posarla sul bancone e di continuare a
leggerla, potei intrattenermi ancora un poco nel locale.
La cameriera, con il suo
immancabile sorriso, mi domandò:
“Non era mia intenzione
origliare i vostri discorsi, ma ho sentito che per le 9.30 avete un aereo da
prendere; andate in vacanza?”
“No, non proprio”
“Qual è la vostra
destinazione?”
“Tenerife”
“Che meraviglia! Ma se non
andate là per rilassarvi per quale motivo ci andate? Per lavoro?”
“Qualcosa di simile”
“Ma avete intenzione di
trasferirvi lì?”
“Esattamente”
La cameriera rimase
interdetta per pochi istanti, poi disse:
“Che bello! Chissà che
spiagge e che mare stupendi troverete; quanta pace e tranquillità potrete
godervi”
“Noi cerchiamo esattamente
questo, un luogo dove vivere senza affanni e che ci permetta di lasciarci alle
spalle gli strascichi della vecchia vita”
“A volte sento anch’io il
bisogno di ricominciare tutto daccapo; però non riuscirei mai a lasciare il
lavoro senza avere la certezza di trovarne un altro”
“La ricerca di un lavoro è
importante, ma non deve monopolizzare tutta quanta la nostra vita; io e il mio
amico andiamo a Tenerife anzitutto per rilassarci, dimenticarci del passato e
trovare nuove ispirazioni e nuove idee”
“Siete degli artisti?”
“Non solo; siamo anche dei
pensatori”
“L’intellettuale ha un
fascino tutto suo; poi al giorno d’oggi sono sempre più rari. Non sarebbe male
trovare un principe azzurro che mi rapisse da questo bar e mi portasse su
un’assolata isola tropicale per dedicarmi poesie e canzoni…”
Io lascia cadere lì il
discorso, sorrisi e indicando la bottiglia di Glen Grant alle sue spalle dissi:
“Mi dai gentilmente un
bicchiere di whisky?”
Lei obbedì e mi porse il
distillato.
“Ti spiace se lo vado a bere
fuori, poi ti riporto il bicchiere?” domandai
“Fai pure disse lei”,
sospirando un po’delusa perché avevo ignorato la sua considerazione sul principe
azzurro.
Raggiunsi Marco che fumava,
mentre sorseggiavo il Glen Grant.
“Tu sei pazzo! Il whisky
alle 7 di mattina! Ma come ti salta in mente?”
“Sei tipo al quarto o quinto
sigaro, questo per adesso è il primo bicchiere”
Lui non rispose, ma
sorridendo mi chiese:
“Ho visto che parlavi con la
cameriera; che vi siete detti?”
“Mi ha chiesto dove andavamo
e io le ho risposto” avevo già bevuto metà distillato
“E scommetto che lei ti ha
detto che vorrebbe tanto venire con noi”
“Qualcosa di simile”
“Mi spiace ma dovrà
prenotarsi un altro volo; stavolta siamo solo io e te amico mio! Noi due, una
spiaggia bianchissima e un mare cristallino. E naturalmente la nostra arte”
Finì di fumare il sigaro,
poi aspettò che io vuotassi il bicchiere e lo portassi alla cameriera; quando
fummo a posto, salimmo in macchina e Marco mise in moto.
Partì a tutta velocità,
sfrecciò sull’autostrada e in meno di un’ora arrivammo all’aeroporto;
fortunatamente il whisky mi aveva allentato i nervi e ridotto le percezioni,
così non mi spaventai tutte le volte che rischiammo un incidente.
I colpi, pardon i pugni, che
Marco tirava al clacson, accompagnate da qualche ingiuria dialettale riuscivano
tuttavia a togliermi dal torpore in cui mi trovavo a causa del Glen Grant.
Quando arrivammo a
destinazione, scendemmo dalla macchina, aprimmo il bagagliaio e prendemmo le
nostre valigie, dopodiché ci incamminammo verso l’ingresso dell’aeroporto; la
mamma di Marco ci venne incontro, ci salutò con le lacrime agli occhi, poi prese
le chiavi dell’auto dal figlio: avrebbe riportato la Panda a casa.
Mentre loro due si
scambiavano un intenso abbraccio e si dicevano reciprocamente addio,
promettendosi naturalmente di rivedersi appena ce ne fosse stata l’occasione, io
mi voltai per dare un ultimo sguardo alla vallata, alle montagne, pensando che
le stavo abbandonando per sempre.
Osservai la gente che andava
e veniva, i suoni e i fumi del clacson, la vita frenetica, ansiosa e angosciante
del nostro bel Paese; pensai che l’arrivo in massa di immigrati provenienti
dall’Oriente e dall’Africa stava radicalmente mutando la penisola e che gli
italiani se ne stavano andando tutti quanti all’estero, me e Marco compresi.
Riflettei sul fatto che
corruzione e burocrazia stavano stritolando l’Italia come un serpente da con le
sue prede e mi resi conto che stavamo abbandonando un paese allo sfascio,
impossibile da governare; forse i soldi provenienti dal Qatar o dalla Cina
avrebbero dato un’iniezione temporanea di speranza e di vigore, ma questo non
sarebbe bastato. Il monopolio finanziario e la criminalità avrebbero spento ogni
singolo barlume di speranza.
Pensai anche a tutte le
persone che conoscevo e che non avrei mai più rivisto, pensai a tutte le donne
che avevo amato, a tutti gli amici con cui avevo condiviso bei momenti, pensai
alla mia famiglia; mi stavo lasciando tutto alle spalle, stavo per chiudere
definitivamente le porte della mia mente ai ricordi, stavo per resettare la mia
vita.
Marco salutò la madre con un
bacio sulla guancia poi mi fece segno di seguirlo dentro l’aeroporto.
Passammo i controlli del
check-in e potemmo finalmente salire sull’aereo che ci avrebbe portato a
destinazione; ci sedemmo nei posti assegnati e aspettammo pazientemente il
momento della partenza, ascoltando con distrazione le indicazioni della hostess.
Presi un taccuino e una
penna dalla tasca della giacca e mi misi ad annotare i particolari della
mattinata, mentre Marco si infilava le cuffie e cercava un brano sul suo Ipod
(che aveva precedentemente tolto dalla valigia); prima di lasciarsi andare a
qualche pezzo metal mi disse:
“Sai una cosa? Finalmente i
fantasmi della mente non fanno più rumore. Adesso tacciono. Sono così lontani
che non riesco nemmeno più ad udire la loro voce”
Sentii invece distintamente
il rombo dei motori e l’aereo che decollava; guardai con aria assorta fuori dal
finestrino, gettando l’ultimo sguardo ai luoghi della mia vecchia vita e dedicai
un ultimissimo pensiero alle persone che avevo incontrato, specie a quelle che
mi avevano ferito. Dopodiché li stipai definitivamente nel dimenticatoio del mio
cervello.
Marco aveva fatto
altrettanto, lo capii quando chiuse gli occhi e per la prima volta da mesi lo
vidi finalmente sorridere.
Quando misi il piede sulla
sabbia bianca della spiaggia di Tenerife, ero frastornato: un po’per il jet lag
e un po’per l’emozione; il mare cristallino si allargava a macchia d’olio
davanti a noi e ci incantava con la sua inenarrabile bellezza.
Marco per lo stupore lasciò
cadere a terra l’Ipod; lo raccolse prontamente per evitare che i granelli di
sabbia potessero rovinarlo.
Mi sedetti per terra perché
faticavo a reggermi in piedi tanta era la gioia; chiusi gli occhi per imprimere
tutta quella meraviglia nella mia mente e li riaprì con il timore che tutto
svanisse, rivelandomi che in realtà stavo vivendo un sogno.
Invece era la realtà; Marco
gettò a terra la maglietta, si tolse i pantaloni, si infilò il costume preso
dallo zainetto, posò l’Ipod e le cuffiette e senza pensarci un attimo si tuffò
nell’acqua limpida e calda; urlò la sua gioia al cielo così forte che lo udirono
tutti e dagli occhi vidi sgorgargli le lacrime.
Pensai che finalmente ce
l’avevamo fatta, finalmente avevamo raggiunto la nostra meta; una nuova vita era
iniziata per entrambi e potevamo plasmarla a nostro piacimento, scegliendo
tranquillamente di diventare ciò che volevamo.
Marco aveva trovato il posto
ideale per comporre canzoni, io per scrivere libri; entrambi, per pensare.
“Non entri? Guarda che si
sta d’incanto!” mi urlò il mio amico emergendo da un’immersione
“Non ancora; voglio sentire
ancora un po’ i raggi del Sole sul viso” gli risposi.
In quel momento la barista
del chiosco della spiaggia mi si avvicinò con un sorriso; era bruna e non tanto
alta, con la carnagione scura e i tratti del viso ispanici. Indossava un costume
in due pezzi e una collana di fiori.
Mi porse il bicchiere che
teneva in mano e che conteneva un cocktail multicolore.
“Benvenuto a Tenerife
signore; questo è un piccolo omaggio che offriamo ad ogni nuovo arrivato.
Intendete fermarvi qui da noi per tanto?”
“Direi di sì”
“Per quanto esattamente?”
“Per sempre” risposi
prendendole il bicchiere.
Mi gustai il cocktail sorso
dopo sorso, ringrazia la barista e la osservai allontanarsi ancheggiando; quando
ebbi finito di bere mi tolsi la maglietta, i pantaloni, misi anch’io il costume
e raggiunsi Marco in acqua.
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