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Poesie Controcorrente

I versi di Fabio Dainotti si alimentano dell’antinomia realtà/finzione, che si traduce in suggerimenti ammiccanti, amori concupiscenti, ma timorosi, voluttà e apparenza. Figura centrale delle liriche è la donna, candida e satanica, con volto talora tentatore, perverso, seducente, perfido, talaltra tenero, sognatore, accondiscendente. Accenti intimistici si susseguono con un’intensa carica di “vanitas”, in un’atmosfera di malinconica sospensione, percepibile attraverso un sentire che, da individuale, diventa cosmologico. Appare una stretta correlazione tra musica e amore, tra la prefigurazione di un evento latente e il senso di attesa interrotto da vibrazioni sonore che, nella loro vaghezza, rivelano un’inusitata presenza femminile, l’ immagine di una donna sensuale, colma di reminiscenze di giochi remoti, timorosa e trepidante, pronta ad interagire, anche quando “rifiuta”, quando il suo corpo diventa “tastiera” o quando ancora elargisce ”baci di fuoco” ed è disposta a perdersi, immersa “in una musica triste e indistinta:

”Il bocchino, i capelli impomatati;
lusinghiere parole:
Un décolleté di donna,
morbida nel guardare, lenta a dire.
Una musica triste al pianoforte:
Indistinta, nel fumo dei liquori,
la voluttà di perdersi e di trovarsi.” (Festa Galante).

“Ma la donna ha piacere di essere richiesta,
come dice l’Antico, anche quando rifiuta;
così, quando Marco morì in un incidente stradale,
tu deglutisti appena, alla notizia.” (Auto blu).

“Suono sulla tastiera del tuo corpo
le musiche più belle e più dolenti,
malinconiche, ardenti, prima e dopo l’amore.
Quando sorridi, scopri bianchi denti
come una creatura di Allan Poe.” (La tastiera).

L’ amore diventa rivelazione e dissimulazione, un miraggio fantasmatico che asseconda istinti primordiali, predisponendo ad un atto gnostico nel permanere come luce, emanata da astri che annientano il Nulla e d individuano un punto di congiunzione dello sguardo, convergente e condiviso:

There is a pleasant little cafè there,
un piccolo caffè dove noi due
ci appartavamo. Era bello parlare,
noi, soli al mondo.
C’era una siepe in vasi tutto attorno.
Stavamo seduti noi due soli
come i fidanzatini di Peynet.” (Piccolo caffè).

Ma la poesia di Fabio Dainotti s’ impreziosisce, ulteriormente, di accenti di profonda riflessione esistenziale, è la chiave che apre, con sorridente ironia, il fatale destino di sofferenza dell’uomo, attraverso la rappresentazione di una realtà velata di tristezza malinconica, nell’accostamento di oggetti e situazioni quotidiane.

“Ci guardava interdetto il cameriere
del ristorante al centro di Caserta:
piangevo, piangevi anche tu, come tutte
le donne che han deciso di troncare; i piatti
tornavano in cucina intatti ancora.” (L’addio).

Lo spirito di Dainotti si rivolge alla concretezza dell’esistenza, partendo dalla situazione individuale di chi è consapevole di esistere e si pone interrogativi sul proprio essere.

Qui appare il senso di precarietà dell’uomo, la sua finitudine, l’assurdo della vita:

“Adesso vivi con la tua famiglia,
invecchiando; felice? Non si sa:
i conti si fanno alla fine.” (Auto blu).

I versi del poeta scorrono lenti, ma progressivamente acquistano un dinamismo interno, pregno di riferimenti autobiografici che scandagliano, dolorosamente esperienze dilanianti, confessioni intime, emozioni incontrollabili. L’ animo è teso a denudare il proprio “Io”, attraverso un processo mnestico, atto a cogliere intensamente vibrazioni e pulsioni personalissime. Ne derivano immagini che dipingono sullo scenario della sua vita quadri di assoluta bellezza, palpitanti dei colori più variegati del sentire umano:

“….. Perciò quel giorno sotto casa
Quando eri già un malato terminale,
ma io non lo sapevo, m’ imploravi
di non litigare:
“Fabio, non te ne andare, forse è l’ultima
volta che ci vediamo” “(Una barbona)”

“Uomini di colore, disperati,
affondando tra le ondate
con gli occhi dilatati dall’ orrore
alzavano al cielo
le braccia che reggevano i bambini
per dare loro ancora un attimo di vita. ”(Nelle tavole di Beltrame).

“M’ hai svegliata”, dicesti, dilatando
gli occhi, dopo l’amore.
“Ti amo”, dissi io, studentello inesperto;
ma tu, diretta, senza orpelli:” Io no!”
Il giorno dopo udii cigolare
il divano di là: qualcuno forse
tentava di abbracciarti.
Ti sentivo ansimare,
ma poi: “C’è lo studente!” mormorasti:
Certo non ero l’unico
uomo della tua vita”. (Dopo l’amore).

Recensione
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