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Claudio Cazzola, infatti, in “Un lettore ai lettori”, segue il percorso di luce tracciato dal poeta rinviando al Somnium Scipionis, ricordandoci che «ciò che non può l’uomo è la divinità che lo compie, se si è sorretti dalla fede.» (nella silloge, però, emergeranno anche gli umani dubbi, accanto alle proclamate certezze), e richiamando la poesia “c’è anche il sole che non c’è”, vi individua «una autentica dichiarazione d’amore, intellettuale e affettiva insieme, al principio vivificatore delle cose e delle anime»…«perché non è lui il latitante»…«bensì il nostro spirito». Il prefatore analizza con cura il valore profetico di una moltitudine di versi, nonché i ricorrenti giochi fonici: «la conquistata certezza, donata dalla fede, del sopraggiungere sicuro della luce a fendere le tenebre della mente, grazie all’insistita presenza del tempo futuro al modo indicativo»…«il futuro grammaticale non è di tutti, essendo riservato di norma ai profeti intermediari della divinità»; «Codesta maniera ludica di trattare le parole, lungi dall’essere esercizio di vane fisime funamboliche, costituisce la prova certa che l’Autore si ascolta mentre scova le parole e le sottopone a verifica mediante un incessante labor limae». In questo modo anche il lettore viene invitato ad affinare la sensibilità e l’efficienza del suo udito e del suo orecchio “interiori”. A rivalutare il titolo dell’opera ci spingono alcune considerazioni poste al termine della prefazione: «Come possa una pagina non vergata da segni alfabetici comunicare qualcosa lo sanno soltanto gli angeli, cioè quei bambini che sono stati falciati via prematuramente e strappati alle attese della vita». Di sicuro l’autore riserva una particolare attenzione ai lettori, come dimostrano svariati versi posti in apertura e in chiusura della silloge: «a piacere vogliate leggere | con l’amore per le cose rare» (in “a piacere”); «spalanco quel mio privato | - non più intimo oramai» (nella “Pagina bianca”). I contrasti tra luce e buio, bene e male sovrastano; come scrisse Arrigo Boito: «Son luce ed ombra; angelica | farfalla o verme immondo, | sono un caduto cherubo | dannato a errar sul mondo, | o un demone che sale, | affaticando l’ale, | verso un lontano ciel.» Emilio Diedo, dal canto suo, così si esprime: «Ho un’anima miserevole | che non riesce a sceverare | le esose esigenze opposte» (in “Inconsistenza & peso”); «… ritorno a galla - | mi ridesto dall’apatia | subita nei sensi-sentimenti | e riemerge in me la bestia» (in “ritorno a galla”); «un silenzio m’incolla | artatamente | alla normale morale | che rende l’uomo uomo | piuttosto che emulo | di un’istintiva bestia» (in “un silenzio”). Il poeta, comunque, riesce a elevarsi e con piena consapevolezza può affermare quanto segue: «Qualcosa di bello | m’ha messo le ali alle spalle | alleggerendole dalla soma | che il tempo le appioppa» (in “Un’eco… ecco”). Malgrado la ricerca costante di sorgenti di luce, talvolta prevale lo sconforto: «Sballottati dalla marea del destino | sorteggiati dal lotto degli eventi | perdiamo le redini dell’oggi»…«fantini, | su destrieri senza briglie» (in “Abili ali d’alibi”); «e ci si sente proprio feriti | dalla lama aguzza della sfortuna» (in “sere, notti”). Talvolta le immagini non brillano per originalità: «Anche tu mio angelo custode | che mi ami come mia madre, | come ogni madre del mondo» (nella lirica “Agli angeli”); «Il cuore ha l’anima | eccome se ce l’ha!» (in “Cuore anima”); «Verrà, il sole potrà | riscaldare le algide mattinate | sciogliendo ghiaccio nei cuori.», ma poi il tono si risolleva: «Il sole verrà come un laser | a perforare perfino la notte» (in “Il sole verrà”). Cercare la luce comporta anche l’attivazione di un processo di progressiva smaterializzazione: «senza lasciare le cose di casa | e senza portarle con sé - | basta solo pensarle ogni tanto». Investigare i rapporti intercorrenti tra bene e male induce a cercare di meglio definire la propria identità, in una società in cui, senza scrupoli, si possono produrre «i figliastri della provetta»…«Clonati | o geneticamente perfetti»… nelle «officine della prole» (in “Oltre l’uomo”). Analoghe considerazioni risultano rinvenibili nelle poesie “Clone-clown”, “endiadi” («Crepature su crepe | aprono doppioni d’identità»), “EUGENETICA”. In tale contesto, malgrado i tanti buoni propositi, la confusione investe l’io: «io non invento niente | non sono io che parlo | io non piango né rido»…«l’anima mi è estranea | appartiene ad altro mondo | o magari ad altro uomo» (in “no, non sono io”); «vivo e non vivo» (in “sì e no”). Legittimo chiedersi, durante le riflessioni, dove vadano a finire i prodotti delle nostre meditazioni: «In un angolo mondano | vanno a rifugio i pensieri | per ripagarsi delle insidie | del nostro tristo tempo | nei suoi luoghi comuni. | | O non sanno dov’andare | e ristagnano nel cassetto, | grembo fertile e felice | di mamma Fantasia.» (in “Dove volano i pensieri”). Proprio con l’ausilio della fantasia, possiamo ritrovare i nostri pensieri in cassetti ricavati in ventri degni di Dalì e scoprire che gli angeli possono riservarci ancora molte sorprese. |
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