L’opera Catalèpton di
Gianluca Di Stefano è stata di recente inserita nella “Collana Nuovi
Fermenti/Poesia”. Un altro poeta che fin da subito si dichiara amante del vino,
oltre che dei versi!
Viene proposto un intarsio di
citazioni che, talvolta, eccedono rispetto a quanto offerto sull’altro piatto
della bilancia, ma questo è un autore che si impone per personalità, come si
evince dal modo di presentarsi nel profilo posto a conclusione del libretto: «Di
carattere mite impiega raramente il clacson», intento a «mescersi da bere, e
anelare a colmare il vuoto dei dubbi da cui è perennemente assillato
nell’applicare cerotti al suo mappamondo».
Le sfuggevolezze di significato
si allineano con una certa complicità, che scatta immediata in chi si accinge
alla lettura: rapida e intensa, toccante profondità abissali mentre sfiora
l’intima ferita, alimenta la vertigine.
Rime interne tra simmetrie di
opposti, punte di ironia, incastri inattesi, inversioni e punti di contatto
fugaci, in un’acutezza di visione che perfora, sfidando le capacità percettive:
«Non esiste più la notte | ma un giorno più buio».
In un’altalena di umori, talune
inserzioni prosastiche nel tessuto del frammento si fanno amare notazioni: «Il
sasso che prendi a calci | durerà più della tua vita». Anna Achmatova
replicherebbe: «Tutto quel che vedo mi sopravviverà».
Tra vivide immagini, «Il poeta |
come il calamaro negli abissi | spande inchiostro nella profondità del foglio |
per celarsi». Egli ammette, però: «Così disinfetto le mie ferite con l’alcool.
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Forse moriremo | ma mai di sete».
Sullo
scenario aspro e inesorabile dello scorrere del tempo, affiorano quesiti dubbi
perplessità che inchiodano: «Che fine hanno fatto le donne che abbiamo amato in
gioventù?». |