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Nella collana “Via Herákleia” (“Forme della poesia contemporanea”), a cura di Flavio Ermini, è stata di recente inserita l’opera Gioco d’ombre sul sipario (ut fabula poesis) di Liliana Ugolini, con postfazione di Gio Ferri e un disegno di Michele Ranchetti. Le traduzioni, invece, sono di Mihaela Cernitu (dal rumeno) e di Teresa Albasini Legaz (dallo spagnolo).

In questo volumetto, scaglie poetiche si alternano a brani di una prosa che volge verso la poesia. Una certa teatralità viene suggerita già dal titolo dell’opera; del resto, il teatro, nella produzione di questa autrice, occupa un posto di rilievo come dimostrano i tanti progetti e pubblicazioni.

La copertina bianca è d’impatto, nella sua semplicità, grazie alla presenza di un rettangolo grigio, che si stacca dal fondo per avanzare verso il lettore: «Rosso su rosso il sipario si aprì. | Un vuoto grigio attivò l’attesa | del Tempo che formava | le pietre. Scenografie d’acqua, | terra e sabbia si scambiavano | i ruoli.»

Lo spettacolo inizia subito, mentre incontriamo personaggi in attesa e un mimo che racconta «la solita storia, quella che tutti i poeti raccontano»…«togliendo personaggi e fili».

Ma c’è un divario, una spaccatura tra quanto i poeti raccontano e la loro identità: infatti, «Il poeta è la più impoetica delle cose che esistono; perché non ha identità, è continuamente intento a riempire qualche altro corpo: il sole, la luna, il mare e gli uomini e le donne, che sono creature d’impulso, sono poetiche e c’è in loro qualcosa d’immutabile, ma il poeta no, non ha identità, è certamente la più impoetica di tutte le creature di Dio», come scrisse John Keats in una lettera datata 27 ottobre 1818. Ed ecco che “Il mimo” di Liliana Ugolini, pur essendo protagonista, si trova a dover dire: «Mia sicurezza è il magma che si muove | delle nostre storie pietra o meteora»; dunque, tale sicurezza poggia, in realtà, su un insieme disordinato, caotico di elementi.

La rappresentazione, come la vita, prima o poi deve volgere a un termine. Ne “La rivelazione e l’attesa” (ovvero, nella postfazione) Gio Ferri ammette: «Forse può sembrare facile cogliere, dalla messa in scena di Liliana Ugolini»…«la metafora della storia delle vite universali, della vita cosmologica, dal mattino della genesi alla notte.»…«Comunque sicuramente sacrale è anche il racconto di uno spettacolo che è attraversato dalla piacevolezza del dire e dell’ascoltare»…«piuttosto che dalla tragedia».

La musica che si sprigiona da questi versi libera, a sua volta, la parola che, tra i fili di interconnessione e l’isolamento, si stratifica nella sua nudità. Inoltre, all’interno di questi segmenti versicolari, risultano sparsi vari riferimenti musicali. Per esempio, “Da Ouverture in stile italiano (F. Schubert)”: «L’una debutto ardente in armonia | all’Hôtel Roman Emperor | anteprima viennese in do maggiore o re | l’esecuzione incerta | Dicembre milleottocentodiciotto» (anno in cui Keats scriveva la succitata lettera).

Un moderno trattato di arte poetica non potrebbe confinare i testi in nuove categorie immutabili; dovrebbe, invece, sviscerare la complessità dell’atto creativo, individuando inediti percorsi di lettura e possibili accostamenti. Anche questo libro di Liliana Ugolini può essere occasione di riflessione in tal senso. Un simbolismo interessante si declina attraverso i suoi personaggi, a cominciare proprio dal mimo.

L’immagine del bambino che, con sguardo carico di stupore, vede quello che gli adulti non riescono più a scorgere (ma che non può sfuggire al poeta), viene riattivata e arricchita: «Mi domando dalla città | dove vanno a morire gli uccelli» (anche Il giovane Holden si poneva interrogativi affini: «Chi sa dove andavano le anitre quando il laghetto era tutto gelato e col ghiaccio sopra»).

L’acutezza di visione della poetessa consente di catturare dettagli pregni di realtà ma vivificati dall’estro, segni di un’inventiva sempre vigile e attiva. Perché, a saperla guardare, è «Fiabesca la ghirlanda»; e con Chagall, la «Rotonda “O” ripetuta | allunga la realtà in sogno», mentre i colori urlano e «La spinta a narrare colore | è un bisogno di vita».

Le tappe di una crescente consapevolezza si susseguono; nonostante la deriva, i personaggi si riappropriano delle loro storie, le parole del proprio posto.

Il Gioco d’ombre si trasferisce dal sipario alle pagine di questo libro, investendo il lettore (oltre il sipario, oltre la pagina), in attesa di un nuovo spettacolo.
Recensione
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