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La notte bianca. Le poesie di Živago

Come era solita dire la compianta Maria Grazia Lenisa, non è questione di prosa o poesia, bensì di “scrittura alta”. Questo viene confermato immergendosi nella lettura de La notte bianca di Boris Pasternak, libro in cui, attraverso Le poesie di Živago, si ripercorre la storia del protagonista del romanzo Il dottor Živago, Jurij, alter ego dell’autore. Tra immagini suggestive, riferimenti puntuali e simbolici, lo stile calibrato del poeta romanziere non ruba la scena ai contenuti, creando comunque un equilibrio che si fa anche armonia musicale.

In queste liriche ritroviamo intatto il senso di solitudine che caratterizza la vita di Boris Pasternak, le sue debolezze tutte umane ma pure la sua forza interiore, dai connotati tipicamente cristiani (come nella grande tradizione russa, e in comune quindi con Tolstoj e Dostoevskij), che gli consente di affrontare con coraggio ogni avversità, persino in una Russia sconvolta dalla guerra e dalla rivoluzione.

Come osserva Paolo Ruffilli, al quale si devono la traduzione e l’introduzione all’opera (approfondita e mai noiosa, diversamente dalle tante introduzioni in cui di solito ci si imbatte affrontando autori ritenuti ormai dei “classici”), Jurij e Boris vivono il medesimo dissidio, un dissidio profondo che vede contrapposti artista e società, poesia e politica, arte e storia, amore e matrimonio.

La fede non equivale a una semplice convinzione religiosa, bensì viene vissuta e proposta quale autentica ricerca spirituale, e allora anche le festività vengono riportate a un significato più profondo, non meramente o superficialmente celebrativo: «Il bosco è spoglio, senza fronde, / e nella settimana di Passione / la schiera dei tronchi in fila / sembra una folla assorta lì a pregare.» … «I giardini escono fuori dai recinti, / sta vacillando l’ordinamento stesso / della terra: si seppellisce Dio!». Ma la morte sarà presto vinta dalla resurrezione, pertanto il poeta cristiano non può dimenticare che il dolore si intreccia alla bellezza e che esso ha discontinuità, sebbene le tregue che concede risultino brevi.

Come confermato dai segmenti di versi succitati, gli elementi vegetali, e in particolare gli alberi (considerati come gente senza nome, come avremo modo di vedere successivamente), sono presenza ricorrente in queste pagine. Inoltre, più volte compaiono pennellate di bianco su bianco: «Noi due insieme, in quella notte bianca, / al davanzale stretti su una panca, / guardiamo giù dall’alta postazione.» … «Sulle tracce di quei discorsi un po’ origliati, / nei giardini chiusi ognuno da un recinto, / indossano il loro abito dipinto / i rami dei meli e dei ciliegi tutti imbiancati. // E come fantasmi gli alberi dallo steccato / in folla bianca, in coro, sembrano andare / muovendo cenni d’addio per salutare / la notte bianca che tante cose ha rivelato.».

Si ravvisa un tono colloquiale che ritroviamo anche nella poesia di Anna Achmatova (cfr. Il silenzio dell’amore, trad. di Manuela Giabardo e Paolo Ruffilli, Biblioteca dei Leoni 2014). Possiamo notare come pure nella produzione della poetessa vi sia una certa predilezione per il bianco (lo Stormo o la sovrapposizione di tenda bianca e finestra bianca, tra gli esempi più noti), persino in associazione con la dimensione notturna (“Nella notte bianca”, nella silloge Sera).

Sintonia tra i due confermata, del resto, in più occasioni da entrambi i poeti con vicendevoli parole di ammirazione, ma soprattutto va ricordata, rispetto al regime, la loro intima autonomia di visione preservata a dispetto delle tante e ben note limitazioni alla libertà d’espressione che gli intellettuali subivano, e che si coalizzarono, come portavoce e incitatori del popolo russo, affinché esso restasse unito contro l’invasione tedesca.

Ne La notte bianca Boris Pasternak si sofferma su come tutti sperimentino l’amore, però in modo diverso. Non solo le affinità ma anche le solitudini uniscono, eppure sono in pochi a vivere la passione con consapevolezza, e quindi come una rivelazione, per conoscere meglio se stessi e gli altri: «E, dopo tutti questi anni, ecco che / di nuovo la tua voce mi ha sconvolto.» … «Ho voglia di mescolarmi adesso con la gente» … «Mi precipito giù lungo la scala / come fosse la prima volta che esco fuori» … «Insieme a me c’è gente senza nome: / alberi, bambini, vecchi, casalinghe. / Da tutti loro io mi sento vinto / e proprio in questo sta la mia vittoria.». La passione, quindi, consente di vivere ogni aspetto dell’esistenza intensamente, di riscoprire quanto ci circonda con occhi nuovi. E, contro la monotonia dell’abitudine, occorrono «Passione, slancio, fascino e fervore!», soprattutto «quando vivere dà fastidio più di un male.».

Il poeta riconosce come sia «una pena che l’universo sia più semplice / di quanto pensi qualcuno più istruito». Infatti, le «Risate in casa tra le faccende fanno baccano, / stesso rumore e stesse risa anche più lontano.».

«Anche la vita ha la durata di un istante, / solo un rapido dissolversi / di noi stessi in tutti gli altri, / come ci fossimo offerti loro in dono.». E il dono dell’amore, come ogni altro regalo, «non chiede spiegazione, / per quanto grande sia / non si rivela mai senza sorpresa / nell’illuminazione.». Tuttavia il poeta si propone (e consiglia) cautela di fronte alla «selvaggia tenerezza», poiché essa rappresenta pure «una forza distruttiva che è arbitraria / e contraria alla pace della casa.»: «Un alito d’aria sopra la fiamma / e la febbre della tentazione / come un angelo levava aperte / in forma di croce le sue ali.».

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