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La frequenza con cui Veniero Scarselli (il noto biologo che ha dedicato la vita, oltre che alla ricerca scientifica, alla poesia poematica) pubblica le sue opere non è d’ostacolo alla loro intensità. Prova ne è anche la recente edizione de La suprema macchina elettrostatica. L’opera è stata inserita nella collana “Le Scommesse”, della casa editrice Genesi di Torino, sotto la redazione di Sandro Gros-Pietro, curatore della prefazione. L’autore ha già pubblicato nella stessa collana Genesis (nel 2008) e Trionfo delle anime artificiali (nel 2009). Invece, nella collana “Novazioni”, è uscito quest’anno Diafonie poetiche a contrasto (in coppia con un altro autore di chiara fama: Rossano Onano).
L’uomo di scienza è ben consapevole dei limiti della scienza stessa, delle scienze umane. Come osserva Sandro Gros-Pietro, nell’acuta prefazione, in queste pagine: «la libertà più importante da conseguire è quella che affranca dai legami della verosimiglianza, dell’opportunità logica, della temperanza cautelativa delle ipotesi»…«al di là dell’avere cioè del possesso denotativo e descrittivo della realtà». Il poeta si pone sulle orme di Dante e Beatrice, ma restituendoci una versione moderna della poesia poematica per sensibilità e soluzioni stilistico-formali, oltre che per implicazioni contenutistiche. L’aspetto metafisico e spiritual-religioso si ammanta di tinte surreali e di conoscenze scientifiche (proponendo al lettore ipotesi suggestive). Il poema epico consente all’autore di sviscerare, da un’angolazione particolare, le problematiche del vivere odierno, nell’era dell’informatica. All’interno dell’opera, riferimento basilare rimane quello al binomio oppositivo proposto da Erich Fromm “avere o essere”, di cui si trova eco in svariati versi (Giuseppe Guglielmi replicherebbe: Essere & Non Avere! (Fermenti Editrice, 2008) ): «e una folla di larve semiumane | che venerano l’Avere anzi che l’Essere» (2); «da lì avrei potuto contemplare | le vaste pianure del mondo | anche se purtroppo abbandonate | alla furia sanguinaria e devastante | dei peccatori abbandonati da Dio | che predicavano l’Avere anzi che l’Essere» (12); «l’esodo felice | delle anime appena bonificate | da un pianeta così profondamente | infestato dal male dell’Avere, | anziché sublimato dall’Essere | e dall’Amore.» (21). È solo la conoscenza a poter placare il tormento dell’essere al di là di ogni avere, una conoscenza nutrita dall’essenza più pura e più profonda dell’amore. Infatti, fulcro del libro risulta essere la montagna della sapienza da scalare (subito ritorna alla mente l’opera di Thomas Mann). È il poeta a cimentarsi in tale esemplare impresa, con mente aperta a tutte le mutazioni che il viaggio può comportare, viaggio le cui tappe sono tratteggiate da cinquanta strofe. Dopo tante fatiche compare Super-Gemma, la novella Beatrice che funge da guida all’interno della Grande Fabbrica di anime artificiali, la cui creazione è finalizzata a colmare d’amore l’intero universo. Lo scibile viene idealmente condensato, in queste pagine: «la piramide che irradia scariche elettriche capaci di proiettare le anime morte gogoliane nei campi elisi dell’eternità, è un viaggio per allusione e per metafora dentro la cultura umana, con grande rivalutazione dei miti e delle credenze popolari» (ancora il prefatore Sandro Gros-Pietro). È Super-Gemma a spiegare al viandante, in errore ma volenteroso, che l’anima di un cane non ha un peso maggiore di quella di un’ape, perché le anime non si differenziano per dimensioni o per peso, e sono tutte degne di ricevere amore: «Ecco dunque perché l’invenzione | di trasformare le anime mortali | in stringhe di bip-bip incorruttibili, | seppur salvate provvisoriamente | nell’effimera materia d’un CD, | deve essere senza discriminazione | di censo, di colore, o animalità, | applicata con amore ad ogni anima | che sia nata per caso o per errore | in questo grigio universo: l’Amore | verso tutte le creature del Creato, | uomini piante animali». Senza fuorvianti cerebralismi, l’aspetto riflessivo non turba l’armonia di questi versi, il loro svolgersi in vivide immagini, intense metafore non sbiadite o svilite da uno stile immediato. |
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