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Le Bandiere dell’Onda

In Talita kum di Mario Sodi (Polistampa, 2000) confluiranno parte del libro Le Bandiere dell’Onda (Delos, 1999) e parte della pubblicazione Il campo del vasaio (Il Candelaio, 1990), tra modifiche di diversa entità e ripensamenti dovuti a una forte serietà di intenti, sulla scia di una classicità rivisitata e variamente declinata, meditando sulle singole implicazioni metriche e lessicali, sonore e coloristiche, e ponendo costante attenzione alle più piccole sfumature di pensiero e di resa formale.

Per esempio, il movimento in tre tempi, denominati rispettivamente “Il tempo della terra”, “Il tempo del fuoco” e “Il tempo del cielo”, verrà successivamente riproposto, ma ne Le Bandiere dell’Onda compaiono anche “La scatola delle quattro lune” e la “Fonte Gaia”. Il sottotitolo, inoltre, specifica “cento quartine e due testi in prosa”.

I movimenti del libro sono ben anticipati e illustrati dal disegno della copertina, realizzata da Selma Stultus. In esergo, versi appassionati di Paul Eluard. Il tutto a testimoniare la convergenza di molteplici elementi di ispirazione, nel tessuto unitario e dinamico dell’opera.

La voce dell’autore poggia su una musica che “sale dalle vesti / dell’alba e avvolge il fiore che si schiude”, mentre il suo pensiero è partecipe dell’universale armonia.

Egli si sofferma sulle contraddizioni che caratterizzano l’uomo, il quale appare spesso diviso e combattuto, sospeso tra terra e cielo: “Troppo a lungo ingoiato dalla terra / sei come un pipistrello e a stento voli / con le tue ali cariche di polvere / e gli occhi tormentati dalla luce”.

Della luce, nei diversi libri di Mario Sodi, l’uomo è anche figlio. E come in altri suoi libri, l’autore si sofferma di frequente su immagini di fanciulli, tra altalene e aquiloni, rammentando anche la figura della madre, e arricchisce gli scenari vegetali di notazioni coloristiche vivaci. Inoltre produce fruscii di parole, registra turbolenze profonde e la calma apparente in cui sconfina talvolta l’indifferenza altrui, come in “Solo un segnalibro”: “Ma questo amore è solo un segnalibro / per la tua vita. Io ti dono parole / che sono vene e spàsimo e tu passi / come un vento distratto che non torna”.

La distrazione, ovvero la non sufficiente cura del prossimo, può indurre in errore, in vario modo. Così pure l’ignoranza, la scarsa consapevolezza, o l’inesperienza: “Sono come un bambino che si ostina / a giocare con l’altalena e pensa / d’esser lui a volare così in alto. / Non sa che c’è una mano che lo spinge.”.

Tra i versi che più colpiscono l’attenzione del lettore, contenuti nella “Ballata del melograno” e che ritorneranno in Talita kum con modifiche più consistenti nella terza quartina tra quelle qui di seguito riportate, possiamo ricordare: “Apre la melagrana il mio bambino / sorridente: il suo corpo è un’armonia / di rubini come astri nel gran cosmo / dove ognuno ha il suo fuoco e la sua Casa. // La vita è una sospesa melagrana / dove ognuno sta solo e separato / dagli altri da una pelle amara. Eppure / lo stesso ramo tutti ci sostiene. // Dal vecchio melograno cade il frutto / dimenticato da chi vide il fiore. / Quella aggrinzita forma che non piacque / dona alla terra i semi della vita.”.

L’intera produzione di questo autore viene sorretta dal pilastro della fede.

Egli, rinvenendone probabilmente le origini nella fanciullezza, quando risulta più immediato il rapporto con l’invisibile (perlomeno nella sua visione), può descriverci, tra l’altro, la presenza di “un albero grande nell’infanzia / quando capivo la voce del vento”.

Recensione
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