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La silloge Viaggio attraverso… di Bruno Balzan riunisce poesie scritte tra il 1975 e il 2006, mentre viene tracciato un interessante itinerario che sconfina nella prosa delle note e che induce il lettore, sin dal Prologo (l’autore si rivolge a chi si avvicina ai suoi versi in modo diretto e confidenziale, dandogli del tu e aprendogli la porta del suo libro con un «Ciao.»), a sentirsi coinvolto in prima persona in un processo di scoperta del mondo che rinvia sempre alla propria interiorità, con un conseguente e inevitabile ritorno a se stessi per poter chiudere l’invisibile cerchio esistenziale e illudersi di potergli attribuire un senso, se non compiuto, almeno parziale.

Grande merito va riconosciuto all’editore che ha garantito e rispettato la libertà del poeta, non imponendogli, come spesso accade, la soppressione delle note! (purtroppo vi è qualche refuso, che però non intacca lo spessore dell’opera nel suo complesso).

Bruno Balzan, attraverso l’utilizzo di rapidi commenti introduttivi alle singole poesie, rende subito accessibile il suo universo senza appesantire la lettura e senza ridurre la curiosità nei confronti del frammento che si va a leggere. Anzi, lo valorizza e gli conferisce un arricchimento semantico che intensifica l’emozione del lettore. Un esempio che segna molti punti a demerito dei tanti detrattori delle note nell’ambito delle pubblicazioni poetiche. Un’impronta di umiltà, onestà intellettuale e nobiltà d’intenti che si rispecchia in un atteggiamento di rispetto nei confronti del lettore medio. Nulla vieta di leggere le singole poesie prima del relativo commento, per poter confrontare le proprie reazioni prima e dopo le rivelazioni del poeta.

L’incipit è subito coinvolgente, invita ad aprire i versi come matrioske: «La vita è uno strano | tipo di sogno | immerso dentro | ad un altro sogno, | e poi un altro | e un altro ancora:  |non sappiamo | quanti sono.» Come non sappiamo quante sono le lingue in cui si può sognare, ricordando Borges…

Bruno Balzan sente le poesie «come preghiere», mentre si interroga sulla sua vera identità. In “Tu dici”: «Tu dici | di essere forte, | ma quando vedi | la tua ombra | diversa | da quello che sei, | hai paura | perché sai | che è la morte.» E l’autore continua a chiedersi chi è anche in “Chi è quel prigioniero?”.

La caducità veniva percepita dal poeta sin dalla sua più giovane età: «La vita | è come questa piuma | che va dove il vento la porta: | fin ch’è sospesa è viva, | dopo | è morta.» (in “Che cos’è la vita”).

Spesso si è detto che sarebbe terribile conoscere il giorno esatto (e magari anche l’ora esatta) di quella che sarà la nostra morte. Niccolò Fabi ha scritto nella canzone “Rosso” (con Riccardo Sinigallia): “Hai presente quando sogni di morire | per vedere chi verrà | al tuo funerale | per capire chi ti ha voluto bene | e chi ti ha voluto male | hai presente?” (canzone inclusa ne il giardiniere).  Sicuramente è stato anticipato da Bruno Balzan, nella poesia “La data della mia morte”, risalente al  1976: «Oggi | trentacinque febbraio, | sono morto.»… «Al mio funerale | non mi ci sarei proprio | sentito d’andare, | ma di forza | mi han voluto portare. | | I parenti | costernati e | addoloratissimi | ringraziano per l’eredità.».

Per quanto concerne il rapporto del poeta con il Creatore, interessanti le poesie “Quando l’acqua raggiunge la riva” (1982) e “Nudo al capezzale degli dèi” (1999). Nella prima, che qui riportiamo per intero, leggiamo: «Quando l’acqua | raggiunge la riva, | bagno il mio cuore | di fresco mare | e raggiungo oceani | dentro di me. | Arrivo alle nuvole | con un volo d’angelo, | quasi fossi Dio | dipinto sul soffitto | di una chiesa. | | Guardo senza dolore | il crocifisso appeso.» L’integrazione della nota rassicura, non c’è alcun intento irriverente, solo un modo tutto personale di sentire le origini che accomunano: «Il rapporto con la religiosità, percepita come mistero, comunicazione profonda con l’universo; contrapposto al dogma vietante, simboleggiato dal soffitto di una chiesa. Il crocifisso non è reale, non è fatto di carne; non provo dolore per una statua di legno.» Nella seconda poesia in questione, a distanza di diciassette anni, analoghe considerazioni riemergono: «Nudo! Al capezzale degli dèi | che rantolano fuochi di rabbia: | bestemmie e sputi | su di una croce | che non è loro.» Chiarimenti ci vengono offerti nella relativa nota introduttiva: «Espressione di arresa al dolore. Quel dolore che è nostro, e che solo noi possiamo gestire, che la promessa di nessun dio può farci riscattare. La rabbia di capire che la croce è nostra e non degli dèi.».

Anche se è difficile riuscire a coltivare la propria umanità a causa della scarsa attenzione ai bisogni altrui tipica dell’uomo, e in “Trapianto di cuore” il poeta vorrebbe che gli fosse trapiantato un cuore di plastica per ridurre l’impatto delle sofferenze, non di rado si accendono scintille di speranza grazie magari al ritrovamento inaspettato di un anemone che ancora non è sbocciato.

Lo stormo bianco dei versi di Anna Achmatova pare incontrare “Una nuvola d’uccelli neri” di Bruno Balzan («Una nuvola d’uccelli neri | conquista lo sguardo: | il mio cuore | è con loro. | Neve | sulle mie ali nere.»).

Quali sono le conclusioni al termine del lungo e tormentato percorso? Risulta possibile rinvenirle nella poesia posta a chiusura dell’intera silloge, dopo aver analizzato in “Zattere” la posizione che occupa la poesia nella società contemporanea: «Ho viaggiato | in lungo e in largo, | lo stretto mi faceva male | il cuore non riusciva a passare.»… «Ho viaggiato | da nessuna parte | ogni direzione | riconduceva a me.»… «Ho viaggiato | spesso come un uomo: | non sono un intellettuale! | non sono un letterato! | seguo un crepitare | di passi nella notte | forse sono i miei | forse quelli del cuore. | Se mi rilegherai in fondo | alla definizione di poeta | non mi avrai capito: | allora continuerò da solo | questo viaggio d’amore | fortuito.».

Recensione
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