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Pur necessari,
in arte i confronti sono sempre odiosi; e maggiormente lo diventano quando siano
riferiti a messaggi (meglio, linguaggi) che prescindano totalmente dalle
possibili mercificazioni. Proprio perché in essi linguaggi pulsa una umanità
dichiarata e al di fuori del facile “inganno”. E chi scrive versi, in fondo, chi
si esprime in poesia sa benissimo le contraddizioni che subisce il libro prima
di diventare tale, e le contraddizioni che ancora sopporta nell’acquisita veste
dopo. Per questo torna gradito il presentare poeti non facilmente comparabili
tra loro, e dal punto di vista contenutistico e da quello estetico. Anche perché
ognuno ha tracciato la propria strada ed ha già programmato (almeno così
agevolmente si legge) il proprio itinerario.
Filippo
Giordano, in ordine di lettura, ci si presenta col suo “Se dura l’inverno”
(Seledizioni). Vincitore premio “Quasimodo” 1980, è cantore, ma anche tribuno!,
della vissuta realtà meridionale. Con versi carichi e tesi, in composta e
tagliente denuncia, sa unire alla chiarezza dell’analisi che inchioda: “E la
rabbia macina la strada. | Ed è una beffa Pasqua che arriva”. Una
parola-sassata, che però trova anche momenti per farsi dolcezza, amore, che sa
tradursi in umanissima dimensione: “Ti amo. Ben altro che questo effimero |
canto di cicala vorrei alzarti, | amore; toglierti dai saturi fogli | di fiori e
petali. Tu invece perdona | questo breve mazzo di parole | colto dall’usato”.
(…)
Che dire dunque,
se non che questi nostri giorni travagliati ed inquieti hanno anche altre
credibili letture? Nuovo Rinascimento, com’ebbe a sostenere Alberoni? Forse no
(il dubitativo soltanto per non essere trancianti). Ma un panorama, almeno in
prospettiva, del pianeta-uomo diverso dalla visione disperata che certa
apocalisse dominante vorrebbe, in modo del tutto disinteressato…
Questi volumi
comunque ci aprono alla speranza. E non è poco, tra tanti che amano definirsi
poeti.
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Recensione |
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